Il referendum del 17 aprile prossimo organizzato da 9 regioni italiane (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) ed appoggiato da molte organizzazioni come Greenpeace, Legambiente, WWF e privati cittadini chiede che venga abrogato cioé eliminato il comma 17 terzo periodo dell‘art.6 del decreto legislativo n.152 del 2006 secondo cui lo sfruttamento delle piattaforme petrolifere a 12 chilometri dalle coste italiane dovrebbe essere permesso fino ad esaurimento del giacimento e non solo fino alla data della scadenza fissata dalle concessioni.
Secondo WIKIPEDIA al momento ci sarebbero 9 concessioni per 39 piattaforme la cui autorizzazione è scaduta ed altre 17 che scadono nel 2017.
Sono per votare „sì“ tutti coloro che sostengono il referendum ed alcuni partiti politici ed associazioni (vedi Wikipedia).
Andrea Boraschi, responsabile della campagna „Energia e clima“ di Greenpeace, ci fa capire che questa volta in realtà si vogliono privilegiare i petrolieri e non i cittadini, che è in ballo il futuro del sistema energetico italiano, che sono a rischio posti di lavoro nel campo del turismo e della pesca a causa dell’inquinamento ambientale conseguente.
Per votare „no“ al referendum sono quasi tutte le imprese del settore sostenendo che il referendum è inutile, che loro hanno sempre difeso le coste e l’ambiente che non usando le piattaforme per petrolio e gas ci sono rischi di avere poca energia e di dipendere troppo dall’estero. Inoltre, dicono che ci sarebbe una perdita di posti di lavoro. Se controlliamo il calendario o l’agenda personale realizziamo di essere veramente nel 2016 e quindi di vivere nel terzo millennio, ma se invece consideriamo il piano di risorse energetiche a cui si affida l’Italia dobbiamo realizzare di vivere in realtà in un altro secolo.
Infatti, nonostante il prezzo del petrolio sia in caduta libera e nonostante i relativi grossi problemi di inquinamento i „nostri“ si affidano ancora agli idrocarburi e fanno trivellare i mari italiani! Si parla tanto di energie rinnovabili: solare, eolica, marina, ma noi in concreto siamo ancora fermi.
Invece di facilitare le ditte che si impegnano in questo campo e di sostenere la ricerca e l’innovazione si sceglie in pratica di aspettare il „miracolo del petrolio“.
Intanto in altre nazioni si fa ricerca e si progredisce! Ad esempio sul „Fatto quotidiano“ del 17 febbraio 2016 Maria Rita D‘Orsogna (fisico, docente universitario e attivista ambientale) riferisce sì che a causa della crisi del settore idrocarburi nel regno Unito si sono persi 70mila posti di lavoro. Illustra però poi la situazione in Scozia dove l’energia eolica ha fornito il 97% del fabbisogno domestico di energia, mentre quella solare ha fornito il 50% di riscaldamento domestico. Perchè i nostri non seguono queste strade dato che l’Italia avrebbe a disposizione distese marine, vento e sole?
Emidio Melis in un testo apparso il 25 marzo 2016 (vedi: it.blastingnews.com) ricorda che „l’Italia nella Conferenza sul clima del 30 novembre del 2015 si è impegnata a ridurre l’emissione del gas serra e che invece sta incentivando la ricerca di combustibili fossili (gas e petrolio) a scapito delle fonti rinnovabili e che a danno di queste ultime ha deciso un taglio improvviso di contributi finanziari“.
Quindi dove stiamo andando?
In conclusione è fondamentale che si partecipi a questo referendum e si voti „SI“ per due motivi fondamentali: perchè sia valido devono votare il 50% degli aventi diritto più uno, i cittadini devono far sentire la loro voce in questo settore fondamentale per la futura economia del paese!
Antonia Pichi
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