Il Sinodo inglese ha votato a schiacciante maggioranza (378 sì, 8 no e 25 astensioni) la possibilità di accedere al soglio episcopale
La Gran Bretagna, patria della democrazia, si conferma patria dei diritti. Chissà cosa direbbe oggi Enrico VIII, colui che si vide rifiutare il divorzio dal Papa e si staccò da Roma! Fu il fondatore della Chiesa anglicana, l’autore del cosiddetto scisma d’Occidente, dopo quello d’Oriente, avvenuto nel 1054. Ebbene, è difficile dirlo. Come colui che si vide negare il divorzio avrebbe potuto essere favorevole, ma trattandosi di un re, cioè pur sempre del rappresentante della tradizione, forse no.
Parliamo del voto del Sinodo d’Inghilterra, a stragrande maggioranza favorevole all’episcopato femminile. Per l’esattezza i voti favorevoli sono stati 378, i contrari 8 e gli astenuti 25. Il voto non è definitivo, lo sarà quello di luglio 2014.
All’inizio di quest’anno la Gran Bretagna ha approvato il matrimonio gay. Non è obbligatorio che le varie confessioni religiose accettino di celebrarli, i cattolici sicuramente no, come neppure gli ebrei e i musulmani. Nemmeno tutti gli anglicani sono d’accordo e possono rifiutarsi, ma quelli che lo sono, non esiteranno a celebrare i matrimoni gay. Nella Chiesa anglicana si è discusso a lungo sui preti e sui vescovi gay, ciò che ha causato anche l’abbandono di molti preti che sono diventati cattolici. Di sicuro si è posto come limite invalicabile la convivenza di vescovi anglicani. Vescovi gay sì, ma non – staremmo per dire – praticanti e conviventi. Come si vede, comunque, le donne preti sono un fatto acquisito. Altrove, nemmeno a parlarne.
Dicevamo che il voto del Sinodo non è definitivo. Prima del pronunciamento finale a luglio dovranno essere affrontati i problemi collegati alla decisione, come il diritto della comunità di accettare l’autorità di una donna. Per sciogliere una serie di nodi, sia all’interno del Sinodo e della gerarchia ecclesiastica che della comunità dei fedeli, ci sarà un negoziatore, cioè colui che dovrà condurre la Chiesa alla decisione finale unanime dopo però aver trovato un accordo di chiarificazione – con relative soluzioni – su tutti i punti dell’innovazione. Il negoziatore è il canonico di Belfast, l’autore degli accordi di pace nell’Irlanda del Nord tra cattolici e protestanti, che per decenni si sono fatti la guerra.
Il fatto che le donne possano diventare preti e il fatto che fra non molto possano diventare anche vescovo (si dirà “la vescova” oppure “il vescovo”, come per il ministro/la ministra) a ben guardare non è poi così strano in Gran Bretagna, dove il capo della Chiesa anglicana è la regina d’Inghilterra. Certo, essere capo della Chiesa anglicana non vuol dire avere autorità spirituale o pastorale o teologica. La carica proviene proprio da Enrico VIII che facendo lo scisma si proclamò capo della Chiesa anglicana, per cui il re o la regina d’Inghilterra sono divenuti per tradizione capi a loro volta. Ebbene, dicevamo, a ben guardare l’apertura al sacerdozio ed ora all’episcopato femminile ha una sua giustificazione proprio nel fatto che ora capo della Chiesa anglicana è, appunto, un donna, la regina d’Inghilterra.
Non sono isolate le voci di dissenso, come quella dell’ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey, che ha preconizzato “l’inizio dell’estinzione della Chiesa entro una generazione”. Molto appassionato l’invito di Rosie Harper, cappellana nella diocesi di Buckingham: “Qul è la ragione che ci tiene ancorati nel ventunesimo secolo a una discriminazione così evidente? Se vogliamo essere seri nella nostra missione, e so che questo è il punto nodale, dobbiamo aprirci al cambiamento, dobbiamo smetterla di essere soprannaturali. Molti giovani sentono il richiamo di Cristo ma vengono respinti dalla Chiesa che abbonda di discriminazioni di ogni sorta. Non abbiamo che una strada davanti, votare per il sì”. E sì è stato.