Anche il latitante mafioso Giuseppe Falsone, 40 anni il prossimo 28 agosto, “il ragioniere” di Campobello di Licata, diventato più boss di suo padre nella provincia agrigentina, è caduto come un birillo colpito dagli investigatori delle squadre mobili di Agrigento e Palermo, dallo Sco, con la collaborazione dell’Aisi.
È stato preso con i sacchetti della spesa in mano mentre rientrava a casa a Marsiglia, in Francia, cittadina marinara cara a Bernardo Provenzano, il padrino che lì si operò alla prostata, e che chiamava nei pizzini il suo uomo nella zona dei Templi col numero “28”.
Irriconoscibile, più magro, col volto che sembra ritoccato e il naso certamente rifatto, documenti falsi, intestati forse a un favoreggiatore, Falsone continua a negare ai poliziotti che lo hanno fermato di essere il ricercato dal ‘99 per mafia, omicidio, estorsioni, traffico di droga e gestione illecita di appalti; nega di essere quel giovanottone con la camicia a quadretti e la faccia paonazza raffigurato nell’elenco dei 18 latitanti più ricercati nel sito del Mininterno. Per avere la conferma definitiva i poliziotti lo hanno sottoposto ai rilievi dattiloscopici: le impronte saranno confrontate con quelle in archivio. “Lo seguivamo – dice il questore di Agrigento Girolamo Di Fazio – da almeno un paio di mesi e non lo perdevamo mai di vista. Viveva da solo in quella casa di Marsiglia e stava per mettere su un’impresa di costruzioni edili. È un successo enorme della polizia di Stato e delle squadre mobili di Agrigento e Palermo. Sembrava che non producesse risultati la nostra Mobile, quelli che tutti avremmo voluto vedere, e questo perché lavorava, per oltre metà del suo tempo a disposizione, proprio per la ricerca e cattura del latitante”.
Dopo la notizia dell’arresto gruppi di agrigentini sono andati davanti alla questura per applaudire la polizia gridando “Viva la legalità, abbasso la mafia”.
Di Fazio è sceso in strada ringraziandoli. Ricchissimo (ha subìto diversi sequestri di beni, tra cui uno da 30 milioni di euro), Falsone godeva appieno dell’appoggio di tutta la sua famiglia di sangue tant’è che anche la madre, la sorella, il fratello e il cugino erano stati arrestati. La sua carriera in Cosa Nostra non poteva non svilupparsi considerato che è figlio di Vincenzo Falsone, reggente di Cosa Nostra ad Agrigento per molti anni, ucciso durante la guerra di mafia con gli “Stiddari” agrigentini il 24 giugno del ‘91 con l’altro figlio Angelo, fratello maggiore di Giuseppe. Il ragioniere vendicò il delitto uccidendo Salvatore Ingaglio, che lui considerava uno degli assassini del padre o sicuramente uno dei componenti della Stidda che ordinò il delitto.
Condannato all’ergastolo per omicidio ha subito altre condanne per decenni di carcere. Falsone “gira rigorosamente armato, non si separa mai da palmare e pc portatile. E nella ventiquattrore porta la Bibbia e testi di filosofia”, ha raccontato l’ex consigliere comunale di An a Naro (Ag) Giuseppe Sardino che era stato braccio destro e vivandiere di Falsone prima di pentirsi.
Nell’inchiesta che portò all’arresto di Sardino emerge che un “alto esponente della polizia giudiziaria” aveva fornito notizie al boss sulle indagini per la sua cattura attraverso l’avvocato Luisa Maniscalchi, anche lei arrestata. Se Falsone si pentisse i magistrati alzerebbero il velo su decenni di rapporti tra mafia e politica nell’agrigentino. Intanto la politica ha fatto i complimenti agli investigatori. Tra gli altri il plauso è arrivato dai ministri Maroni ed Alfano, dal presidente del Senato Schifani e dal governatore Lombardo.
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