Intervista allo scrittore italo-ticinese Yari Bernasconi, che ci racconta di più sul suo ultimo libro “I nuovi giorni di polvere”
Com’è nata la sua passione per la poesia?
È una bella domanda insomma, già utilizza un termine che mi piace, “passione”. Devo dire che ho iniziato a leggere poesia in modo forse un po’ casuale, cioè, mi ricordo di avere trovato alcuni libri nella libreria di casa, regali, libri che si potevano trovare. Ce n’era uno in particolare che mi aveva colpito ed era l’“Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. La poesia lascia alcuni contesti, alcune parti oscure, e questo secondo me è molto affascinante dal punto di vista di un lettore, prima di tutto, perché credo che non debbano esistere scrittori che non sono prima di tutto lettori. Poi ovviamente quando si scrive in questa prospettiva.
“Nuovi giorni di polvere”, questo è il titolo della sua raccolta di poesie. Come nasce questo titolo che all’apparenza non si può subito decodificare?
È un titolo che porta con sé una sorta di opposizione, che da una parte è quella dei nuovi giorni, e dall’altra questo aspetto, questo concetto, o ancora meglio questo elemento della polvere. La polvere è un elemento interessante secondo me, perché attraversa tutte le nostre vite e la incontriamo continuamente e in mille forme. È uno di quegli elementi che, per così dire, si insinua: anche dove si cerca, con un scopa ad esempio, di liberare il pavimento dalla polvere, lei ritorna o si infila negli anfratti, sotto i mobili.
Ecco
“Ricordati che polvere sei e polvere ritornerai”: una citazione, possiamo dire, da accomunare alla sua scelta…
Sicuramente bella, così richiamo un certo senso biblico, ma che comunque riporta alla riflessione sulla vita e sulla morte…
Una delle sue poesie è dedicata alla galleria ferroviaria del San Gottardo, la galleria che è stata inaugurata proprio lo scorso giugno. La sua poesia però non si riferisce proprio a questa inaugurazione, ma a una scultura del Vincenzo Vela…
La scultura di Vincenzo Vela è una scultura straordinaria, è una delle primissime sculture della fine dell’800 che si indirizza volutamente alle vittime del lavoro, e la mia poesia vorrebbe essere una sorta di ricordo di tutte quelle persone che hanno realizzato quello che da tutti è considerato come uno dei simboli della Svizzera. Molte di queste vittime erano italiane, nella riflessione. Potevano anche essere di un’altra nazionalità, per carità, vero è che dal punto di vista geografico la mia vita si divide un po’ tra la cultura e la nazionalità italiana e la cultura svizzera, posseggo i due passaporti, sono di origini italiane, ma sono cresciuto in Svizzera. Diciamo che questa opposizione mi ha sempre fatto sorridere, pensare agli italiani che hanno fatto quello che poi in fondo è un simbolo della Svizzera. Il fatto che sia di attualità anche oggi, con l’apertura di Alptransit rende la cosa anche un po’ curiosa.
Parliamo di un’altra poesia che coinvolge tutti noi, perché tutti noi abbiamo vissuto questo momento, italiani, italofoni e sinoitalofoni: “Sul treno per Zurigo”…
È un testo, devo dire, piuttosto arrabbiato. Molto spesso prendiamo il treno, ogni tanto incontriamo personaggi anche curiosi. Mi è capitato di sentire un discorso molto duro nei confronti degli emigrati, degli stranieri, un discorso molto fastidioso. Quindi questa poesia nasce da una reazione di fastidio: molto spesso ci si dimentica che gli emigrati e gli stranieri sono parte integrante della Svizzera, del nostro paese in generale, e che sono imprescindibili.
Molti dei nostri connazionali vivono questa doppia anima italiana e svizzera. Vuole lanciare un messaggio a chi come lei ha vissuto questa doppia anima della Svizzera?
Molto spesso vivere tra due identità, forse non viverne nessuna fino in fondo, è una situazione che le persone vivono in modo molto diverso le une dalle altre. Per quanto mi riguarda, devo dire che mi piace immaginarmi all’interno di una geografia mobile, quindi non sento per forza la necessità di dovere appartenere o di dovere associare la mia identità a un luogo preciso. Se così posso, non dico dare un suggerimento, ma trasmettere un messaggio, potrebbe essere proprio quello di cercare di trovare in tutti i luoghi qualcosa che in fondo ci fa sentire un po’ a casa, che ci fa stare bene.
Adriana Verdi
di Radio Lora Italiana