Nelle sale, trentacinque anni dopo il primo successo di Scott, il sequel di uno dei più famosi film di fantascienza
Forse in pochi ricorderanno i dettagli della trama o le caratteristiche dei vari personaggi, ma di sicuro gli amanti del genere avranno ancora vivo il ricordo e le emozioni che ben trentacinque anni fa fecero del Blade Runner di Ridley Scott un mito del genere: le scenografie cyberpunk, l’atmosfera cupa e disillusa tipica di ogni noir che si rispetti fecero la differenza ed oggi, trentacinque anni dopo, le ritroviamo, esasperate, anche nell’attesissimo sequel del regista Denis Villeneuve. I replicanti sono dunque tornati. Dopo l’ultima missione del cacciatore Rick Deckard, l’umanità è minacciata dall’Oceano, il grande blackout ha cancellato la società digitale, i brevetti per le colture in serra salvano l’umanità dalla carestia, ma ormai le risorse sono poche e solo il ritorno della razza sintetica braccata e quasi estinta, degli esemplari “ritirati” uno a uno, può dare nuova linfa. La descrizione che ne fa il regista è quella di “esseri artificiali, sintetici, che sono stati progettati per essere sfruttati come schiavi, al fine di esplorare e sfruttare altri pianeti. La maggior parte di loro è fuori dal sistema solare, in un universo più amichevole. Sono progettati per creare un ambiente accogliente in questi pianeti. Ma, come succede con Frankenstein, i replicanti si comportano in modo irregolare e vengono vietati per legge. L’aspetto bello di Blade Runner è che questi esseri artificiali sono molto simili a esseri umani: per questo esiste una squadra speciale della polizia per individuare e far ritirare i replicanti vietati”. Uscito nel 1982, il primo Blade Runner era ambientato tra creature artificiali e fosche profezie nella California del 2019. L’ipotesi pessimistica sul futuro del nostro ecosistema ha fatto passi da gigante: “Il nostro pianeta è al culmine di quanto predetto in Blade Runner. Chi ricorda il primo film troverà questa visione della terra diversa. Allora si accennava ad un futuro potente e bello anche se da incubo. 2049 ci racconta che le cose non sono andate per il verso giusto, il clima si è evoluto in modo disastroso e l’umanità sopravvive in condizioni terribili: l’oceano si è alzato e la città quindi ha dovuto proteggersi con un muro-diga altissimo. Le cose non sono andate per il verso giusto. Il decadimento urbano, l’ingegneria genetica, i divari sociali e economici, i cambiamenti climatici si sono evoluti in maniera disastrosa…”, ha dichiarato il regista Denis Villeneuve, che ha poi continuato: “Volendo restare fedeli allo spirito noir della pellicola originale abbiamo dovuto affrontare il problema di Internet. Perché non c’è niente di più noioso di un detective che sta a digitare guardando uno schermo, così i nostri sceneggiatori hanno avuto l’idea di un grande blackout, un enorme disturbo elettromagnetico che ha distrutto tutti i dati digitali, facendo sopravvivere quasi solo quelli analogici. È anche una riflessione sulla fragilità del nostro mondo informatico, ma soprattutto mi piace che nel nostro film l’eroe debba incontrare le persone, camminare anche nel fango e via dicendo”, ha concluso il regista ricordando il forte impatto del film di Ridley Scott sulla sua carriera: “Si tratta di un film che è stato fondamentale per la mia passione nel cinema. Vedendolo per la prima volta pensai che sarebbe stato un sogno poter diventare un regista. Quindi Blade Runner è legato nella mia mente alla nascita della mia passione per il cinema con il suo impatto visivo potente”. Oltre a Harrison Ford, nel cast di Blade Runner 2049 torna anche Edward James Olmos nei panni di Gaff, mentre tutti nuovi sono gli altri interpreti, da Robin Wright a Bautista, passando per Ana de Armas, Mackenzie Davis, Sylvia Hoeks, Jared Leto e Hiam Abbass.
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foto: Ansa