Nessun ferito. L’esplosione è avvenuta alle cinque del mattino in piazza Castello davanti all’ingresso dell’ufficio del giudice di pace
REGGIO CALABRIA – La ‘ndrangheta alza il tiro e punta direttamente ad intimidire i magistrati. Nello specifico quelli della Procura generale di Reggio Calabria per l’impegno profuso in materia di sequestri patrimoniali. L’interpretazione di magistrati e forze dell’ordine è univoca: la bomba ad alto potenziale di fabbricazione artigianale fatta esplodere poco prima delle 5 di stamani contro il portone di ingresso agli uffici della procura generale reggina è un attacco diretto della ‘ndrangheta. Un episodio che alimenta paura e tensione in città e che ha provocato lo “sdegno” del ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Per fare il punto sulla situazione, giovedì, 7 gennaio, arriverà a Reggio il ministro dell’Interno Roberto Maroni che presiederà una riunione straordinaria dei vertici delle forze dell’ordine.
Ancora non si sa da chi sia partito l’ordine e chi l’abbia collocata, ma quella bomba non è stata messa lì per caso. È un avvertimento per il nuovo corso avviato dalla Procura generale, sottolineano più fonti, dopo l’arrivo, nel dicembre scorso, del nuovo procuratore, Salvatore Di Landro, e di nuovi magistrati quali l’avvocato generale dello Stato, Francesco Scuderi, e del sostituto Franco Mollace, impegnato per anni nella lotta alla ‘ndrangheta dal fortino della Dda reggina. Una tesi che trova riscontro nelle parole dello stesso Di Landro. ”È un attentato diretto agli uffici della procura generale” ha detto. Aggiungendo: “Le indagini e le riflessioni che stiamo facendo ci portano sempre più verso l’ipotesi di una risposta della criminalità organizzata nei confronti di un ufficio che sta tenendo una posizione sempre più forte laddove ci si illudeva che forse la Procura generale svolgesse una funzione più rarefatta”. E Mollace ha evidenziato: è un attacco “diretto all’ufficio che evidentemente, negli ultimi tempi, ha segnato una rottura col passato”.
Adesso, per risalire ai responsabili del gesto, i carabinieri del Comando provinciale di Reggio, che conducono l’inchiesta che sarà trasferita alla Procura di Catanzaro competente ad indagare su fatti riguardanti i magistrati del distretto di Reggio Calabria, hanno in mano il filmato della videosorveglianza. Dalle immagini si vedono due uomini con indosso il casco da motociclista arrivare a bordo di un ciclomotore vicino al portone della Procura Generale, da cui si accede anche agli uffici del giudice di pace, posto in via Cimino, nel palazzo del Tribunale che si affaccia su piazza Castello, nel centro della città. Quindi i due hanno piazzato l’ordigno, realizzato con una bombola di gas da 10 chili e dell’esplosivo ad alto potenziale, hanno acceso la miccia e se ne sono andati. Dopo pochi secondi, il boato, udito a centinaia di metri di distanza. Fortunatamente, vista l’ora e in considerazione del fatto che nella zona ci sono prevalentemente uffici, nessuno è rimasto ferito. L’esplosione ha comunque danneggiato in maniera seria il portone. Immediatamente il prefetto Francesco Musolino ha convocato una riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica che ha confermato la matrice ‘ndranghetista dell’attentato.
Gli investigatori hanno anche un altro elemento su cui lavorare. Poco dopo l’esplosione alla procura generale, un attentato analogo, per modalità, è stato portato a termine contro una pescheria alla periferia nord della città. Non solo. Una bombola collegata a dell’esplosivo era stata utilizzata prima di Natale per un attentato ad un bar i cui titolari sono legati da vincoli di parentela con il collaboratore di giustizia Emilio Di Giovine. Per il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, anche se sono prematuri i tempi per giungere a conclusioni investigative, con “la bomba anche se rudimentale e certo non piazzata per uccidere, gli attentatori hanno certamente ottenuto l’effetto che volevano”.