Quando gli ultimi vecchietti, che quotidianamente vanno a comprare un pò di frutta e verdura e un netto di mortadella nel negozietto di generi alimentari situato a due passi dalle proprie abitazioni, passeranno a miglior vita, allora sarà giunto il momento, per i pochi proprietari di piccoli esercizi, di chiudere per sempre bottega.
E’ passato più di mezzo secolo da quando queste rivendite aprirono i battenti offrendo la loro merce a casalinghe, sartine, zie e nonnine che il più delle volte pagavano non subito, ma a fine mese, saldando il conto con i modesti salari di operai, meccanici, artigiani. E il «Siciliano», il «Gobbo», la «Vedova» e qualcun altro giunto in città dalla campagna, erano sempre lì, dietro il bancone di legno o di marmo ingiallito, con i grembiuloni che arrivavano sin sotto le ginocchia, pronti a servire, sorridenti e gentili, disponibili al dialogo, alla chiacchierata, alle confidenze. Queste rivendite oggi spariscono una dietro l’altra, inghiottite dai centri commerciali, dai supermercati ove si va in auto e con la carta di credito. Non si vende più segnando su quaderni a quadretti la lista della spesa: un chilo di farina, un filone di pane fresco, il formaggio, sei uova, il latte, tre mele, la marmellata, il burro, l’olio. Tempi passati, non più riproponibili, quando esisteva la classe operaia e molti aspettavano la venuta di «Baffone». Nella società dei consumi, della mercanzia d’ogni genere traboccante dai carrelli, nella civiltà di internet, della navigazione multimediale, i pochi modesti empori con la frutta e verdura esposte fuori nelle cassette di vimini sono abbandonate anche dai ceti popolari.
Viviamo tutti, chi più chi meno, l’apoteosi del consumismo più sfrenato, che si attenua in tempi di crisi e di recessione, per ritornare trionfante quando l’economia riprende. Una volta gli sconti, i ribassi erano autorizzati soltanto in determinati periodi dell’anno. Oggi i saldi, i metà prezzo sono esposti nelle vetrine in ogni stagione. E scopri con meraviglia che una giacca di 200 franchi la puoi pagare con una carta da 50. Lo shopping Center non è solo il luogo degli acquisti, alcuni necessari, altri superflui; è diventato lo spazio per gli incontri, la passarella ove esibire ambizioni e lusso, lifting, seni finti, vestiti a la page.
La ottuagenaria, tutta grinze e ossa, che compra due fette di affettato, fa tenerezza, appartiene ormai ad un mondo in via d’estinzione. Viviamo nell’er dello spreco, nel tero millennio si compera per fare bella figura, per appartenere a poeno titolo alla vaiegata umanità del pleonatico, dell’inuile, dell’eccessivo, del look. Il rivendiore di frutta e verdura, il macellaio, il pizzicagnolo, il bottegaio sono figure mitiche sostituite dalle commesse che non ti guardano neppure in faccia, sfilano con indifferenza professionale la merce sopra il rullo, introducono nella macchinetta il bancomat e neppure ti salutano. E’ il prezzo che paghiamo al progresso, al postmoderno, ai rapporti senza anima, ai bazar megagalattici. Ieri si comprava per vivere, nelmondo globalizzato e mercantile si fa la spesa per mostrare ricchezza e benessere., per scartare ciò che serve, l’essenziale, il necessario. E tutto vine masticato, digerito, liquidato senza alcun filtro critico, senza ikl tempo di riflettere, di distinguere, di scegliere. In questa bailamme di mercanzie buttate sul mercato a valanga, di vendite promozionali a scoppio continuo, che ci sta a fare il cliente di una volta, che ruolo gioca? Le leggi della domanda e dell’offerta sono stravolte, gli scaffali, i magazzini traboccano di derrate invendute, ma le vetrine continuano ad esporre articoli, novità, accessori, generi di ogni prezzo e fattura come se la gente potesse disporre della tredicesima in permanenza, come se lo sconquasso dell’economia e della finanza a livello mondiale non eistesse. Dov’è finito il tempo in cui indossare un paio di pantaloni nuovi diventava un evento memorabile e li si portava sino alla consunzione? Dove i cappelletti si gustavano soltanto a Pasqua e a Natale e ai compleanni ai ragazzini si regalavano giocattoli di latta o bamboline di stoffa? Anche il passaggio a miglior vita era un avvenimento la cui dignità e decoro si sono persi per strada. Il corteo funebre sfilava per le vie cittadine in un silenzio solenne, catartico. Poco importava se la carrozza era di prima, seconda o terza classe, come gli scompartimenti ferroviari. L’ultimo viaggio si rivestiva di una nobiltà che cancelllava le differenze di censo. Oggi si è abolita addirittura la processione col defunto, dove, accanto ai parenti in lacrime, agli amici e conoscenti, persone anonime manifestavano una pietas sincera e si avvertiva, nell’aria, l’intensità die rapporti umani e sociali. Non esiste più la memoria delpassato, il rispetto della sofferenza, tutto è preente, vacuo, transeunte, mercificabile, sen’anima. Non c’è il luogo della reminiscenza, si dimentica ciò che è successo il giorno prima, perchè le ore passano tutte uguali, noiose, senza essere ravvivate da scatti di fantasia. Una volta, quan do non esisteva il piccolo schermo, dopo la cena frugale, si ascolgtava al buio, in religioso silenzio, la scatola parlante chon l’occhio magico comprata a rate. E prima di andare a dormire, si commengtava la trasmissione, felici di possedere la radio, un bene che ti faceva sentire importante.
La domenica pomeriggio, con cento lire si andava al cinema parrocchiale, per vedere Tarzan con Johnny Weissmuller, Stanlio e Ollio e Buffalo Bill. Oggi si snobbano le multisale cinematografiche preferendo cadere in letargo dinnanzi ai programmi popolar-demenziali di mamma TV. Tra vecchio e nuovo, antico e moderno, è rimasto in comune, anche se con modalità diverse, l’uso del pagamento differito. Nelle botteghe di piccole dimensioni i clienti affezionati, di lunga data, pagavano a fine mese. Qualcosa di simile succede anche oggi: non estrai il portafogli davanti alla cassa, basta che esibisci il cartoncino magico e puoi portarti a casa il ben di dio senza sborsare un centesimo. L’estratto conto ti arriverà dopo qualche settimana e sarà quasi sempre salato. La differenza tra il debito segnato in un quadernetto e quello compiuterizzato è che il primo notificava uno stato di difficoltà economica, mentre il secondo testimonia la corsa alla dissipazione. Si moltiplicano, nonostante le crisi ricorrenti, cicliche o stagionali, sia nelle metropoli che nelle città di provincia, i grandi magazzini, i mastodontici centri di vendita dove entri vestito ed esci spogliato di mezzo stipendio. Quando, invece, si lasciava il negozietto del rione per i modesti acquisti della giornata, si portava appresso il sorriso della commessa, la soddisfazione di far parte di un circuito civile e sociale di solidarietà, di rettitudine, di buoni principi, di calore umano.