Capaci Bis: continua il processo sulla strage di Capaci del 23 maggio del 1992, nella quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. Emergono nuove vicende e si ascoltano nuove versioni, ma si acquisisce soprattutto la consapevolezza che quello non fu il primo tentativo di Cosa Nostra di uccidere Giovanni Falcone. Ascoltato il testimone Brusca
Con Capaci Bis, si affronta nuovamente una delle vicende più incresciose della Sicilia, ma questa volta la ricerca è volta a decidere chi fu a reperire il grosso carico di esplosivo che quel giorno del 23 maggio fece saltare in aria il giudice Falcone e la sua scorta. Così, infatti, il pm Domenico Gozzo spiega: “Il ‘Capaci bis’ è un processo molto importante perché, a 15 anni di distanza dal primo processo, affronta gli stessi fatti ma con sette nuovi imputati e svelando la parte della vicenda che riguarda il reperimento dell’esplosivo. Abbiamo voluto che il lavoro della procura di Caltanissetta fosse come una casa di vetro e per questo, così come avevamo fatto per il Borsellino quater, abbiamo inserito nel processo tutte le altre indagini che abbiamo fatto in merito”.
Concluse le udienze di novembre, avvenute nell’aula bunker di Rebibbia, il processo ha messo in luce il fatto che Cosa Nostra aveva già provato ad uccidere il giudice palermitano altre volte prima di Capaci come si evince dal racconto del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, già condannato per la strage di Capaci, sentito come testimone dei fatti. “Nell’83 – ha riferito Brusca – lavorai al pedinamento di Falcone, che veniva seguito quando usciva di casa e andava al tribunale e si progettò anche di imbottire un vespino di tritolo per farlo esplodere. Poi ho saputo, nell’87, di un progetto per colpire Falcone ed era stato preparato un bazooka che fu trovato in campagna, come mi raccontò Di Maggio, ma il progetto non fu portato a termine. Poi ci fu l’Addaura e quindi l’ipotesi di poterlo uccidere a Roma nel 1991, utilizzando però armi convenzionali”. Dunque Cosa Nostra pianificava da tempo di eliminare il giudice Falcone addirittura dai tempi in cui fu ucciso il giudice Chinnici. L’intento di Cosa Nostra era vendicarsi nei confronti di politici e magistrati per l’esito del Maxiprocesso, e che Falcone era il primo della lista: “Non c’era bisogno di fare i nomi” della lista di personalità da uccidere – ha detto Brusca in aula – perché “era sottinteso che Giovanni Falcone era il numero uno e lo sapevano pure i gatti che dovevamo ucciderlo”. Per quanto riguarda il rinvenimento del tritolo da utilizzare per l’attentato Brusca riferisce che fu proprio Riina a riferirgli chi favorì l’esplosivo: “Totò Riina mi disse che l’esplosivo usato per le stragi di Capaci e di via D’Amelio proveniva dai ’picciotti’ di Brancaccio e che era stato ricavato dai residuati bellici. Me lo consegnò personalmente Salvatore Biondino, io non ho mai visto Giuseppe Graviano portarmi il tritolo”.
Parte di quell’esplosivo, ha riferito Brusca, era già stato usato nell’83 per uccidere il giudice Rocco Chinnici e sarebbe servito anche per attentare alla vita di Pietro Grasso, allora procuratore di Palermo, anche se poi il piano non ebbe seguito. “Decidemmo di preparare l’attentato a Giovanni Falcone a Capaci, in autostrada perché farlo a Palermo avrebbe potuto comportare il rischio di uccidere vittime innocenti”. Inizialmente in alternativa al cavalcavia pedonale sull’autostrada si pensò di fare l’attentato mettendo l’esplosivo in alcuni cassonetti della spazzatura nei pressi dell’abitazione del magistrato”. I magistrati della Procura di Caltanissetta, titolari dell’inchiesta Capaci bis, e in particolare il pm Onelio Dodero, gli hanno chiesto perché in passato, in precedenti interrogatori, nel ‘97 e nel ‘99, durante il primo processo per Capaci, non avesse fatto riferimento ad un ruolo dei Graviano nella fornitura di parte dell’esplosivo. Brusca ha risposto che in quelle circostanze si era riferito solo a chi materialmente gli aveva portato l’esplosivo e cioè Salvatore Biondino, autista di Riina. “Io personalmente non ho mai visto Giuseppe Graviano portare l’esplosivo – specifica Brusca – il resto me lo ha detto Riina e confermo che fu Riina a pronunciare il nome di Graviano”.