Secondo recenti ricerche il continuo aumento di temperatura porterà presto ad una crisi alimentare
L’attenzione della comunità scientifica è sempre più concentrata sui cambiamenti climatici e sugli impatti che ha e potrà avere sull’ambiente e sugli aspetti quotidiani della nostra vita. Le temperature registrate quest’estate sembrano essere in assoluto quelle più alte da quando si è adottato un metodo di misurazione scientifica, nel 1880, facendo registrare un valore al di sopra della media di 0.83 gradi rispetto alla media del periodo 1951-1980. Il tempo di abituarsi a temperature accettabili che arriva, sembra, un altro evento da record: sembra infatti, secondo alcuni esperti canadesi, che l’inverno che ci aspetta farà registrare temperature da era glaciale. Ovviamente il ruolo (e le responsabilità), delle attività umane, in particolare quella industriale, nei cambiamenti climatici è innegabile: l’attività umana è responsabile dell’immissione in atmosfera di gas serra che trattengono il calore e anche la deforestazione contribuisce all’innalzamento delle temperature perché gli alberi naturalmente regolano il clima assorbendo anidride carbonica.
Ultimamente i ricercatori stanno anche indagando il legame esistente tra riscaldamento globale e alimentazione. Una ricerca apparsa su Proceedings of the National Academy of Sciences e basata sulla revisione di oltre 70 ricerche realizzate per verificare la relazione tra agricoltura e riscaldamento globale, dimostra che il cambiamento climatico in atto avrà un effetto negativo sulle colture fondamentali per la vita dell’uomo, in particolare grano, riso e mais. “I risultati ottenuti da tutti i metodi analizzati suggeriscono che l’aumento delle temperature ha un effetto negativo importante sul rendimento dei principali cereali: per ogni aumento di un grado celsius della temperatura media globale si stima una riduzione delle rese globali del grano del 6%”, ha chiarito uno dei ricercatori. Uguale meccanismo scatta per il riso (la cui produzione cala del 3.2%), e per il mais, che fa addirittura registrare un calo di produzione del 7.4%. A subire in misura minore gli effetti del riscaldamento globale è la soia, che registra una diminuzione del 3.1%per ogni aumento di un grado celsius della temperatura. Considerando che le colture in esame costituiscono i pilastri dell’alimentazione mondiale, fornendo i due terzi del nostro fabbisogno calorico, è velocemente auspicabile un’inversione di rotta, facendo il possibile per limitare l’aumento della temperatura media globale.
Se il clima ha un impatto sull’alimentazione è anche vero il contrario: l’allevamento industriale di bestiame ad esempio, produce grandi quantità di metano proprio durante il processo di digestione dei bovini, essendo in definitiva responsabile del 18% delle emissioni globali, percentuale maggiore alle emissioni dovute al sistema dei trasporti.
E se il settore zootecnico sembra coinvolto nel cambiamento climatico, anche l’agricoltura presenta le sue criticità. Prima di diventare alimenti, le materie prime agricole vengono prodotte, lavorate, confezionate, distribuite attraverso fasi che si svolgono a livello industriale e che producono emissioni di gas serra.
Secondo Marco Springmann, ricercatore all’università di Oxford, “se tutta la popolazione mondiale diventasse vegetariana entro il 2050, le emissioni dovute alla produzione di cibo diminuirebbero del 60%”. I ricercatori suggeriscono che, da un lato, venga fatto il possibile per limitare al massimo l’aumento della temperatura media globale, e dall’altro che si prendano le contromisure necessarie per soddisfare le esigenze alimentari dell’umanità: la produzione zootecnica e alimentare e in genere tutti i settori economici coinvolti nella produzione di anidride carbonica sono chiamati a processi di revisione che prevedano l’uso di energie alternative, la gestione sostenibile dei terreni e degli allevamenti e la protezione della biodiversità.