Che basti un colpo d’occhio all’abbigliamento per capire da dove viene una donna non è una novità.
Ma mai come in questo periodo di crisi le differenze nel guardaroba delle italiane sono diventate così marcate. Perché? Gli esperti di mercato sostengono che il motore di questo fenomeno sia la nausea da globalizzazione, dovuta all’appiattimento delle mecche dello shopping lastricate di monogriffe (uguali in tutte le città). Una realtà a cui le consumatrici, neanche tanto inconsciamente, si ribellano facendo riaffiorare le proprie radici territoriali. Sottolineate dal fatto che le scarse possibilità economiche le portano spesso e volentieri a mischiare il nuovo con quel che già posseggono (una sorta di vintage casalingo che rivela la matrice del gusto nato nelle varie regioni).
“Dimmi se sei milanese o romana e ti dirò come vesti” potrebbe essere comunque questo attualmente il proverbio della moda italiana.
Detto banalmente, la prima insegue l’ultimo diktat dello stilista cool del momento, talvolta perfino a scapito dell’effetto seduttivo esplicito, la seconda ci mette qualche stagione per metabolizzare qualsiasi nuova tendenza, spesso penalizzando l’effetto fashion.
A Milano, per esempio, sta tornando la voglia di scarpe leggermente a punta mentre a Roma imperano ancora solo quelle arrotondate e con alta platform, che peraltro avevano impiegato due stagioni in più per imporsi nella capitale, dove continuavano a girare le decolletè esageratamente appuntite quando a Milano venivano già guardate con disprezzo.
I marchi e le aziende conoscono bene la differenza tra milanesità e romanità, tanto più importante in momenti di crisi economica, e si organizzano di conseguenza, incominciando dagli uffici stile, continuando con gli addetti commerciali e i direttori dei negozi che scelgono cosa ordinare per soddisfare il consumatore finale.
Perfino le commesse romane, che hanno un tono e un approccio diverso da quelle milanesi, sanno che la loro cliente apprezza una moda più barocca ed è capace di ignorare il fascino di un tubino sciccoso se non valorizza seno e sedere. Dolce & Gabbana, marchio cult della moda seduttiva, dopo un paio di stagioni concentrate sulla silhouette ampia e morbida, per la prossima primavera-estate torna ai suoi vestiti scolpiti addosso, e sa già che andranno a ruba proprio a Roma.
Può accadere di chiedere, nel negozio Prada di via Condotti, un abito visto nella boutique di Montenapoleone, e di sentirsi rispondere che non c’è e che non arriverà mai. Perchè l’Italia della moda è divisa in due e non c’entra la questione meridionale.
Si può essere di atteggiamento milanese senza essere nate sotto la Madonnina e avere uno stile romano senza aver mai abitato vicino al Tevere.
“Infatti è un po’ tutta L’Italia – spiega Beppe Angiolini, presidente della Camera dei Buyers – che si divide tra Roma e Milano.
Per esempio, la donna napoletena – dicono gli esperti – tende a vestire alla romana, la barese ha come modello la milanese.
La fiorentina abbandona il look classico-classico da nobildonna e tende a fare la “romana” mentre nelle altre città toscane – spiega Angiolini – c’è un’attenzione perfino spasmodica per l’ultimo grido del design.
A Palermo, nei negozi di Michele Giglio, vanno assai i grandi marchi del made in Italy, a Torino c’è un’attenzione particolare per le novità parigine, per i nomi nuovi più di tendenza”.
Le paillettes, che stanno peraltro tornando in voga, impazzano in Emilia Romagna dove il pizzo, che a Milano è scomparso, va alla grande. Nella ricca provincia lombarda prevale un gusto ricco e decorativo che – con buonapace dei leghisti – fa pensare più a uno stile romano che ad una austerità padana.
Infine, per onestà di cronaca, va anche detto che – secondo alcuni esperti – sta affermandosi uno stile romano, più ricco, pittorico, artistico, femminile, che diventerà sempre più importante nella moda (nelle scuole romane hanno studiato molti dei nuovi designer in odore di notorietà) e che darà filo da torcere proprio alla milanesità.