Dopo dieci anni in Svizzera Marta ritorna in Italia e comincia un duro percorso per trovare se stessa in un luogo che ormai sente estraneo. La regia firmata Rohrwacher trova largo consenso a Cannes
Il racconto poetico di un ritorno difficile, Alice Rohrwacher racconta in questo film il ritorno in Italia di una donna e la figlia dopo aver vissuto per dieci anni in Svizzera. Marta ha vissuto solo i primi 3 anni di vita in Calabria per cui ricorda molto poco di quella che è la sua terra alla quale si approccia molto timidamente, cercando di inserirsi in quel mondo che sente così lontano. Marta adesso ha tredici anni anche se ne dimostra meno e, dopo dieci anni passati con la famiglia in Svizzera, è tornata a vivere nel profondo sud italiano, a Reggio Calabria, la città dov’è nata e da dove proviene sua madre. I suoi avevano lasciato l’Italia in cerca di lavoro, quando Marta era bambina. Ma ora, il lavoro in Svizzera non c’è più e la madre, sola, ha deciso di tornare. Marta è esile, attenta, con un’andatura un po’ sbilenca e un’inquietudine che la fa assomigliare ad una creatura selvatica. Ma ha una grazia speciale, e mentre passa tra gli altri come una piccola fata guarda e sente tutto: non ricorda molto della sua infanzia a Reggio, la città è cresciuta senza nessun ordine, è per lei rumore, resti antichi accanto a palazzi ancora in costruzione e vento. Marta inizia a frequentare il corso di preparazione alla Cresima, l’età è giusta, ed è anche un modo per farsi nuovi amici. Senza la Cresima non ti puoi neanche sposare! In parrocchia si sta preparando una festa per l’arrivo di un nuovo Crocifisso. Marta partecipa attivamente alle attività del catechismo, ma nel frattempo ha imparato che altrove deve trovare la sua strada: non la via al di là del mondo, ma la via attraverso il mondo. Nato dall’incontro con il produttore Carlo Cresto-Dina Corpo Celeste è l’opera prima di Alice Rohrwacher, sorella minore dell’attrice Alba, ispirato al romanzo omonimo di Anna Maria Ortese e in concorso nella sezione Quinzaine des Réalisateurs alla 64esima edizione del Festival di Cannes, dove ha ricevuto un’ottima accoglienza. A Cannes il film di Alice Rohrwacher è parso a molti il più interessante della Quinzaine, laboratorio del futuro dove hanno esordito fra i molti Fassbinder e Herzog, Carmelo Bene e George Lucas, Oshima e Jarmusch e i fratelli Dardenne. Più che essere uno spaccato di una realtà del sud Italia Corpo Celeste incarna quel senso di inadeguatezza e spaesamento provato da chi, tornato dopo tanti anni nel suo paese di provenienza, invece di ritrovare quel senso di accoglienza comunitario si sente paradossalmente estraneo. Impressione accentuata anche dal fatto che Marta è in quella fase di crescita in cui non ha ancora maturato un’identità ben definita e per questo ha bisogno di certezze e punti di riferimento che invece non trova.
Risulta quindi essere il romanzo di crescita della piccola Marta, del suo sguardo straniero e smarrito sui riti di una comunità adulta intrisa di conformismo ammantato di parvenza religiosa. La circostanza narrativa che la scoperta della ragazzina avvenga attraverso un corso di catechismo improntato sui luoghi comuni. Tutta l’azione si svolge in una città, Reggio Calabria, dove regna la volgarità e la solitudine. I rapporti di Marta con i più grandi non sono dei più piacevoli, a cominciare dalla catechista, Santa fissata con i quiz religiosi. L’unica persona con cui Marta riesce a trovare una sorta di sintonia è in vecchio prete che vive in un paesino totalmente abbandonato. In questo film la regista mette l’accento sul degrado che non riguarda solo il degrado materiale come si vede dalla città abbruttita negli anni, con le tangenziali inutili, gli scheletri di case mai terminate, i fiumi trasformati in discariche tossiche, ma anche il degrado degli animi umani, più interessati al benessere terreno che quello spirituale. L’unica a cui Marta può fare affidamento è la giovane madre, con cui riesce a vivere certi momenti di straordinaria intimità. Tra le tante bravure della regista quasi trentenne, quella di far convivere e portare quasi allo stesso livello attori professionisti come come Cantalupo, Carpentieri e Anita Caprioli, insieme con dilettanti che risultano eccezionali nella resa. Prime fra tutte la piccola Yile Vianello che ha interpretato Marta, è risultata una delle migliori attrici adolescenti fra le molte vista a Cannes; oppure della catechista Santa, Pasqualina Scuncia, un talento naturale di attrice, ma che di mestiere fa la tabaccaia.