Umberto Guidoni, astronauta, astrofisico e scrittore italiano che ha partecipato a due missioni NASA a bordo dello Space Shuttle, sarà l’ospite della conferenza Asri del 13 giugno presso l’Università di Zurigo (Rämistrasse 71, Aula KOL-G-217). Ecco cosa ci ha raccontato della sua vita “oltre il cielo”…
Diventare astronauta è il sogno di tanti bambini, ma da adulti solo in pochi riescono. Quando ha deciso che “da grande” avrebbe fatto l’astronauta?
Forse la mia passione per lo spazio è nata quando, per la prima volta, ho puntato il mio telescopio giocattolo verso Saturno. Da adolescente sognavo di viaggiare tra le stelle come gli eroi dei romanzi e dei film di fantascienza ma è stato lo sbarco sulla Luna a convincermi che potevo diventare davvero un esploratore dello spazio come Armstrong e Aldrin. Crescendo mi sono reso conto che il mestiere di astronauta era praticamente impossibile per chi non fosse americano o russo e ho scelto di studiare lo spazio da terra: dopo il Liceo Classico, ho conseguito una laurea in Fisica, con specializzazione in Astrofisica e mi sono dedicato alla ricerca spaziale. L’opportunità di diventare astronauta si è concretizzata molti anni dopo, quando ero ormai ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, in un laboratorio che si occupava dello studio della ionosfera, la zona di spazio più prossima alla Terra.
Quali sono le difficoltà e i sacrifici a livello di preparazione che un astronauta deve affrontare?
La prima difficoltà, quella più importante perché solo superandola si può cominciare la carriera di astronauta, è proprio la selezione iniziale. Essendo italiano ho dovuto passare una prima selezione nazionale, in Italia, ed una successiva presso la NASA, a Houston. Si tratta di visite mediche e psico-attitudinali per stabilire se si hanno i requisiti richiesti per il volo nello spazio. Una volta entrati nel processo come “candidati astronauti”, si comincia un addestramento di base che dura circa due anni. All’inizio soprattutto lezioni di tipo universitario dove vengono illustrati gli aspetti del volo orbitale e i dettagli tecnici dei veicoli spaziali come lo Space Shuttle o la Stazione Spaziale Internazionale. Ci sono sia lezioni teoriche che attività pratiche dove si approfondiscono gli aspetti operativi dei vari sistemi: dai motori dello Space Shuttle, all’impianto di raffreddamento della Stazione, dal controllo della navigazione, ai computer di bordo. Parallelamente, si seguono attività che non si trovano in nessun curriculum universitario: lanci col paracadute, immersioni subacquee, voli di addestramento su aerei militari e perfino corsi di sopravvivenza – nel caso si debba atterrare in emergenza in qualche area disabitata del pianeta.
Quando finalmente si è assegnati ad una missione, allora si entra a far parte di un equipaggio e si procede con un anno di addestramento specifico, che varia da missione a missione, dove ci si prepara alle attività che si svolgeranno durante il volo, questa volta insieme ai colleghi con cui si condividerà l’esperienza nello spazio. È un’attività lunga e a volte molto intensa che spesso richiede viaggi e permanenze lontano dalla famiglia e porta a sacrificare la propria vita privata.
Ricorda ancora le emozioni e le sensazioni del suo primo volo in orbita (Columbia-1996)?
Nella prima missione, lo Space Shuttle Columbia aveva a bordo un satellite italiano collegato con un filo alla navetta e per questo era chiamato satellite al guinzaglio, in inglese Tethered Satellite System o TSS. Il cavo era lungo 20 km, aveva un’anima di rame e funzionava come un’enorme dinamo per generare elettricità a bordo della navetta. Complessivamente si è prodotta l’energia elettrica necessaria per alimentare un appartamento. Il ricordo di quell’esperienza è ancora indelebile nella memoria: ammirare la Terra dallo spazio, vivere in assenza di peso sono emozioni indescrivibili, per certi versi è stato come vivere in uno dei romanzi della mia adolescenza. Ma la missione ci ha riservato anche altre emozioni come quando il cavo si è rotto a causa di un corto circuito e il satellite si è liberato finendo su un’orbita più alta, a circa 70 km dal Columbia.
Quali sono le paure che prova un astronauta, anche esperto come lei, durante le missioni nello spazio?
Il lungo addestramento per diventare astronauta ha anche lo scopo di abituarci a convivere con le situazione rischiose. Nelle sessioni ai simulatori si “provano e riprovano” le varie fasi di una missione ma sempre con guasti più o meno importanti che accadono, spesso sovrapposti uno all’altro (motori che si piantano, computer che impazziscono o sistemi che non rispondono ai comandi). In questo modo ci si abitua a fronteggiare i pericoli dei voli nello spazio e, quando poi ci si trova ad affrontare una vera missione, i problemi tecnici che si verificano sembrano piccola cosa rispetto a quelli che si sono affrontati nei simulatori. Insomma, con una battuta, potrei dire che il training è un “vaccino” contro la paura.
“Viaggiando oltre il cielo” è il titolo della conferenza Asri che la vede protagonista il prossimo 13 giugno a Zurigo, ma è anche il titolo del suo ultimo libro. “Oltre al cielo” è tutto come si immaginava o riesce sempre a trovare qualcosa di inaspettato o di cui sorprendersi?
Nulla è come lo si immagina. Ad esempio, l’assenza di peso non può essere simulata in modo realistico e non c’è modo di provare le reazioni del proprio corpo alle condizioni che si affronteranno in orbita. Lo stesso vale per lo spettacolo che si ammira dallo spazio: la vista della Terra è un’emozione sempre nuova a cui non ci si abitua mai. Questo vale anche per le esperienze successive quando si apprezzano sfumature che sono sfuggite nei voli precedenti per l’intensa attività della missione o semplicemente per il senso di smarrimento.
Una curiosità: crede che la colonizzazione di Marte da parte del genere umano sia possibile in futuro? E anche utile, secondo lei?
Sono certo che esseri umani metteranno piede sulla superficie marziana tra qualche decennio e si tratterà di una sfida tutta nuova che gli astronauti dovranno affrontare tagliando il “cordone ombelicale” con la Terra e contando solo sulle risorse del veicolo su cui stanno viaggiando e sugli elementi che riusciranno a trovare sul pianeta rosso.
L’esplorazione di Marte sarà utile per quello che potremo imparare sulle forme di vita marziane, passate o presenti, ma anche sull’utilizzo di eventuali risorse naturali del pianeta. Ma l’importanza di un insediamento umano su un altro corpo celeste va oltre il valore scientifico o economico e riguarda il futuro della nostra civiltà. Per secoli l’umanità si è evoluta anche grazie all’esplorazione e alla capacità di avventurarsi oltre le “Colonne d’Ercole” dell’epoca. Cinquecento anni dopo il viaggio di Colombo, non ricordiamo le scoperte geografiche o i prodotti esotici riportati in Europa ma abbiamo consapevolezza che quell’impresa ha cambiato la storia dell’umanità. Penso che lo stesso possa accadere nel caso della colonizzazione di Marte o della scoperta di un pianeta abitabile intorno ad un’altra stella.
Lei è stato eletto deputato al Parlamento Europeo. Fisico-astronauta-politico, un percorso non comune. Che cosa l’ha spinta a compiere quest’ultimo passo in un ambiente decisamente “poco scientifico”?
A differenza delle assemblee nazionali, il Parlamento Europeo non ha una maggioranza precostituita e il dibattito è meno influenzato dalle questioni politiche e di schieramento. Nel 2004, anno in cui sono stato eletto, c’era la grande sfida dell’allargamento ai paesi dell’Est e sembrava aprirsi una fase espansiva dell’Unione Europea che oggi, purtroppo, sembra lontana anni luce.
Ho pensato che, grazie all’esperienza internazionale e alla preparazione tecnica, potessi dare un contributo in una fase in cui l’Europa assumeva responsabilità sempre più importanti in campo scientifico (7° Programma Quadro per la Ricerca) e in particolare in ambito spaziale (Sistema di Navigazione Satellitare Galileo), ambientale ed energetico. Ho lavorato per cinque anni nella Commissione Ricerca e l’Energia e in quella per l’Ambiente, con alcuni importanti risultati e anche con qualche sconfitta, ma complessivamente con la sensazione di contribuire al futuro dell’Europa.
Eveline Bentivegna