In Svizzera il numero di ospedali è molto elevato se raffrontato alla popolazione. Una sovrabbondanza che si ripercuote sui costi della sanità. Recentemente l’appena dimessosi ministro dell’interno Pascal Couchepin ha rilanciato il dibattito: più della metà dei nosocomi dovrebbe essere chiusa.
“In Svizzera ci sono troppi ospedali. Circa 200 dei 350 attualmente in attività dovrebbero essere chiusi”. Il problema sollevato da Couchepin in un’intervista rilasciata poco prima di dimettersi alla rivista Bilan non è nuovo. Molti degli attori del settore sanitario sono infatti d’accordo da tempo nell’affermare che il numero di nosocomi è eccessivo. Alcuni mesi fa, Thierry Carrel, uno dei più celebri cardiologi elvetici, lo aveva sottolineato in un articolo pubblicato da La Liberté: “Posso esprimermi solo per il settore che conosco, ma i risparmi potrebbero essere molto importanti”.
Secondo lui, otto centri di cardiologia sarebbero sufficienti (ossia un centro ogni milione d’abitanti, una proporzione simile a quella che si ritrova in Francia, Germania e Austria). E invece i centri di questo tipo in Svizzera sono ben 18! Con tutte le spese che ne conseguono, viste le tecnologie di punta utilizzate. Questa sovrabbondanza non riguarda solo le cliniche specialistiche. Non è raro, infatti, trovare anche a pochi chilometri di distanza ospedali completi di servizio d’urgenza aperto 24 ore su 24, chirurgia, maternità…
Un lusso che, vista l’esplosione dei costi della sanità, difficilmente la Svizzera si può ancora permettere. La ragione di questa profusione di nosocomi può essere riassunta con una sola parola: federalismo.
“In Svizzera non c’è, o almeno non c’era fino a un recente passato, un mercato nazionale della salute, bensì 26 mercati cantonali”, spiega Olivier Guillod, direttore dell’Istituto di diritto sanitario dell’Università di Neuchâtel. In materia di ospedali i cantoni godono di una sovranità praticamente totale.
“Per lungo tempo i cantoni hanno avuto ogni sorta di incitamento per costruire ospedali sul loro territorio. Prima di tutto perché politicamente è pagante. Gli abitanti sono sempre contenti di avere una clinica nelle vicinanze. In secondo luogo, perché un ospedale porta posti di lavoro. Inoltre, per lungo tempo non c’è stata praticamente nessuna coordinazione intercantonale per quanto riguarda la pianificazione ospedaliera”, osserva lo specialista di diritto sanitario. La Confederazione, dal canto suo, dispone di mezzi assai limitati per intervenire. Essenzialmente può agire coi meccanismi di finanziamento contemplati nella Legge sull’assicurazione malattie, che prevedono un obbligo di pianificazione ospedaliera cantonale ed intercantonale oppure può intervenire tramite le regole di rimborso delle prestazioni.
Ciò ha fatto sì che in molti cantoni, soprattutto in quelli più piccoli, sono sorte molte strutture di dimensione modesta. “Per lungo tempo questi ospedali hanno apparentemente soddisfatto i bisogni della popolazione – sottolinea ancora Guillod. Oggi, però, si insiste sempre più sulla qualità e ci si rende conto che delle piccole strutture non sono in grado di garantirla per tutta una serie di interventi medici”. In medicina l’equazione è relativamente semplice: più spesso un determinato atto chirurgico è eseguito, migliori sono i risultati.
Da qualche anno comunque, le autorità cantonali hanno iniziato ad intraprendere una vasta riorganizzazione, accentrando ad esempio in un’unica clinica determinati servizi. “Se si paragona la situazione attuale con quella di 10-20 anni fa, non vi è dubbio che sono stati fatti sforzi di razionalizzazione notevoli”, analizza Guillod.
Bernhard Wegmüller, direttore dell’associazione mantello degli ospedali svizzeri H+, osserva dal canto suo che “il numero di ospedali non deve assolutamente essere fissato a livello politico, ma deve essere il settore stesso a determinarlo, attraverso la trasparenza per quanto concerne la qualità e i prezzi e applicando le stesse condizioni quadro per tutti gli ospedali e le cliniche”.
Bernhard Wegmüller si aspetta molto dalla riforma del finanziamento ospedaliero, che sarà effettiva a partire dal 2012. Il passaggio a un sistema di finanziamento per prestazioni dovrebbe permettere appunto una maggiore trasparenza. Attualmente, salvo in alcuni cantoni, agli ospedali è corrisposto un introito per ogni giornata di degenza. In futuro, invece, riceverà una somma fissa a seconda dell’intervento. “A quel momento sarà più semplice valutare se un ospedale è troppo caro per una determinata prestazione e capire se potrà continuare o meno ad offrire certi servizi”, sottolinea Wegmüller. Alcune cliniche potrebbero perciò vedersi costrette a rinunciare a determinati reparti, poiché troppo costosi in rapporto al numero di interventi effettuati. Altre potrebbero dover scegliere la strada della specializzazione. Altre ancora, infine, optare per la chiusura.
Una cosa è però certa: anche con questo nuovo meccanismo di finanziamento, gli sforzi di razionalizzazione continueranno ad urtarsi a mille difficoltà. Per un ministro cantonale della sanità, domandare la chiusura di un ospedale, o anche di un solo reparto, equivale spesso a un suicidio politico. La popolazione di una determinata regione o città raramente vede di buon occhio il fatto di doversi sobbarcare qualche decina di chilometri supplementari per recarsi in ospedale, quando per anni è stata abituata ad aver tutto alla porta accanto.
“Idealmente – conclude Olivier Guillod – si dovrebbe far tabula rasa del sistema attuale e instaurare una pianificazione ospedaliera e sanitaria a livello nazionale. Del resto all’estero spesso vi sono pianificazioni regionali per un bacino di popolazione ancor più grande di quello svizzero. In pratica, però, fare tabula rasa è pura utopia. Vi sono troppi interessi e troppi fattori in gioco. I cantoni sono gelosi delle loro prerogative, gli ospedali già esistono, delle persone vi lavorano…”. Insomma, per vedere realizzato il suo auspicio, Pascal Couchepin probabilmente avrà bisogno di altre sette vite.
swissinfo.ch
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