Intanto negli USA i link rimossi restano visibili. Per eccesso di zelo rimossi anche articoli non contestati
Il maggior numero di richieste di cancellazione, dopo la sentenza espressa della Corte europea dello scorso maggio, è giunto dalla Francia, seguita da Germania, Regno Unito, Spagna e Italia. È sufficiente compilare un modulo on-line e inviarlo. La nota azienda del motore di ricerca, per dare seguito al boom di richieste ricevute, si è dovuta dotare di un notevole gruppo di legali. Questo, dovuto dagli effetti della sentenza della Corte di giustizia europea che ha riconosciuto il diritto all’oblio degli utenti e degli internauti in genere con riferimenti personali e non, indicizzati nel motore di ricerca. Ad oggi si parla di oltre 270mila indirizzi dai quali è stata richiesta la rimozione.
La recente sentenza della Corte di Giustizia Europea del 13 maggio scorso (causa C-131/12 di Mario Costeja Gonzales e AEPD contro Google Spagna e Google Inc.) ha provocato un ampio riscontro ed è stata ritenuto da molti esperti come fortemente innovativa per il settore Internet. Il cittadino spagnolo aveva chiesto la rimozione di link che richiamavano articoli su vicende cui era coinvolto. La Corte suprema ha deciso di estendere il concetto di diritto di tutela della privacy non solo a contenuti diffamatori, ma anche ad altri ritenuti non conformi con il passare del tempo. Con questa decisione la Corte riconosce/ribadisce il diritto della persona all’oblio (in relazione a contenuti in rete che lo riguardano) alla luce della direttiva 95/46/CE in materia di trattamento dei dati personali. In virtù di tale normativa, il gestore del Search Engine Google è altrettanto responsabile del trattamento delle informazioni e, per questo motivo, i cittadini europei possono ricorrere, nel caso in cui si sentano danneggiati dai contenuti rintracciabili tramite Google, per chiederne la rimozione se non più giustificabile da finalità attuali di cronaca.
Per questo motivo l’azienda californiana, oltre a dotarsi di un nutrito stuolo di legali, ha attivato un formulario di richiesta on-line. Se la domanda è accolta sui link rimossi comparirà la dicitura “Alcuni risultati possono essere stati rimossi nell’ambito della normativa europea sulla protezione dei dati” e il contenuto sarà fruibile esclusivamente sul “sito originale” (di fatto, quindi, si crea una maggiore difficotà nella ricerca da parte di utenti che non conoscono il sito primario). Ma se da un lato si procederà alla rimozione dai siti europei di Google, rimarrà la visibilità sul dominio Google.com degli Stati Uniti. Interessante notare che, per eccesso di zelo, sono stati cancellati anche pezzi giornalistici di riguardo (vi è il caso del quotidiano inglese “The Guardian” e altri) con riferimenti a licenziamenti di persone che hanno prodotto gravi danni ad una banca. Clamorosamente, questa rimozione, invece di lasciare nell’oblio l’interessato (non aveva chiesto nessuna rimozione di link) ha fatto riemergere il caso ponendolo nuovamente sotto i riflettori. Recenti commenti, però, hanno fatto notare che anche casi di criminali e/o vicende portate alla luce dalla libera stampa, rischiano di sparire solo se richiesti dall’interessato. Il dibattito che si è aperto va in questa direzione: il diritto dell’informazione da un lato e il diritto della privacy dall’altra. È probabile che si sentirà ancora parlare molto di questa vicenda anche se, al di la del buon senso, farà stato quanto deciso dalla Corte suprema europea: e nel frattempo a livello internazionale si è comunque rintracciabili. Un oblio, paradossalmente, per modo di dire e che anche Google fatica a gestire!
Paolo Vendola