Non vale la pena qui ritornare su un argomento trattato e ripetuto in questi periodi sulla violenza contro le donne. Sappiamo già tutto, o quasi: che nel 2016 in Italia sono state uccise dal partner 120 donne, una ogni due giorni, in Svizzera una ogni 20 giorni, altrove lo stesso con alcune varianti. Come il fatto che sempre in Italia circa 7 milioni di donne dichiarano violenze fisiche o morali, specie all’interno delle mura domestiche. E sappiamo anche delle disparità salariali uomo-donna, delle difficoltà di accesso per le donne a pubblici impieghi, nei settori dirigenziali che contano, alla facilità di licenziamento.
E lamentiamo che il mondo sia troppo maschile. Non ci sembri strano affermare che forse fra le tante cause, una e non l’ultima va ricordata: l’influsso della religione e della nostra cultura millenaria. Quella cristiana si è formata a partire dall’immagine di un Dio maschile. Sappiamo che al principio invece Dio è nato nella mente umana al femminile. Per millenni l’umanità piena di meraviglia dinnanzi alla capacità della donna di generare nel suo corpo il miracolo della vita venerò la Dea Madre, vedendo nel corpo della donna l’immagine del divino.
Nel tempo la rivoluzione agricola con cereali e animali portò con sé anche la necessità di difendere con le armi i granai, le terre, il bestiame. Così, a poco a poco, la Dea madre venne marginalizzata e si imposero le divinità maschili, guerriere, per i quali si fecero quotidiane razzie e legittimarono sacrifici di sangue a loro onore. Dio maschio si impose su tutti i popoli della terra e prese il sopravvento su tutte le religioni. E anche in Israele la Dea Madre diventò Jahwe, dio degli eserciti, adorato dai sommi sacerdoti, tutti rigorosamente maschi e si radicò nell’immaginario del popolo ebraico e più tardi di quello cristiano.
E così inizia la cultura religiosa patriarcale. Di fatto è comparso dio come un vecchio con la barba, un re con corona e scettro seduto sul trono, un giudice inappellabile. Partendo dalla nostra realtà culturale possiamo affermare che Dio per quanto non abbia sesso ha però da migliaia di anni un genere, il genere maschile.
Nel Natale si celebra un dio padre che genera un figlio, tutti e due maschi. Sappiamo che il sesso è una caratteristica biologica anatomica, il genere invece una costruzione culturale. Per questo sebbene in Dio sia presente tanto il femminile, quanto il maschile, nella cultura ebraico cristiana, cattolica, protestante, ortodossa, come pure nell’Islam, Dio è immaginato, pensato, concepito, pregato, cantato, scolpito, dipinto, rifiutato come maschio.
Come pensare allora che questa identificazione plurimillenaria culturale di Dio con la maschilità non abbia conseguenze nella società umana, rapporto uomo-donna, marito-moglie, operaio-operaia? Costruire il volto di Dio anche al femminile non avrebbe importanti conseguenze nel comportamento e nella spiritualità uomo-donna del nostro tempo? A patto però di rileggere la stessa Bibbia e non lasciarsi incatenare dal letteralismo. Ovvio che quanto espresso nella Bibbia va contestualizzato e reinterpretato. Ad esempio perché Mosè nel decalogo vieta all’uomo di desiderare la donna degli altri e non vieta alla donna di desiderare l’uomo degli altri?
Semplice: perché la donna veniva considerata un’incapace, nullatenente, manipolabile, strumentale. Gesù nel Vangelo ha tentato di superare per quanto consentito la mentalità del tempo e usa paragoni e parabole al femminile, come la cura, la compassione, la vicinanza, l’empatia, l’intuizione. Si pensi alla parabola del lievito dove a impastare il pane sono le donne, oppure a quella delle monete perdute, dove Gesù femminilizza Dio assomigliandolo ad una donna che cerca ansiosamente l’introvabile. Ma anche lui è arrivato dove una mentalità preistorica gli consentiva. In effetti chiama Dio Abba (papà), ma non passa a chiamarlo Imma (mamma).
E anche per la donna sacerdote non poté valicare il muro del suono, lasciando però al tempo la capacità di evolvere verso un ruolo che oggi sarebbe una legittima parità di diritti. Prigioniero della mentalità corrente è pure Paolo quando vieta alla donna di parlare in pubblico, ordina di coprirsi il capo perché essa deriva dall’uomo, fu creata per l’uomo, è la gloria dell’uomo (1° Lett.Corinti,11). Se Dio è stato visto o continua ad essere visto come maschio che regge l’universo e l’umanità dall’alto e da fuori, che ordina, impone, giudica, anche l’uomo maschio si metterà a ordinare, imporre, giudicare, decidere sulla donna.
Sebbene non sembri, con la religione e con le religioni bisogna sempre fare i conti in quanto, voglia o non voglia, fanno parte del nostro DNA dagli albori dell’umanità. Certo sta anche qui la radice più antica e nascosta, che a torto legittima oggi disuguaglianze, disparità, violenze degli uomini nei confronti delle donne
Albino Michelin