Lo “scudo fiscale”, che mediante il pagamento del 5% permette di riportare in Italia capitali e beni dall’estero, è diventato legge, ma esso è stato preceduto e seguito da polemiche tra maggioranza ed opposizione nel merito e nel metodo del provvedimento; alla fine lo scontro più duro ha investito l’opposizione stessa perché sia in sede di votazione per la fiducia, sia quando il testo definitivo è stato votato, le assenze del Pd sono state determinanti.
Nel merito, che è anche metodo, lo “scudo fiscale” permette a chi detiene capitali e altri beni, come quadri e gioielli, illecitamente portati all’estero, di riportarli in Italia.
Quindi lo “scudo” copre i reati che sono alla base dell’occultamento, dalle false comunicazioni sociali alle false dichiarazioni fraudolenti mediante uso di fatture o altri artifici e alle dichiarazioni infedeli rese al fisco. Lo “scudo”, però, può essere utilizzato solo tra il 15 settembre e il 15 dicembre di quest’anno e comunque non possono farvi ricorso coloro che hanno procedimenti penali già in corso, secondo la correzione voluta dal Capo dello Stato in agosto.
Lo scontro tra maggioranza ed opposizione è stato aspro. La ferma contrarietà dell’opposizione era determinata da una serie di ragioni che vanno dal trattamento di favore a chi ha evaso le tasse al messaggio secondo cui in Italia si può commettere reato, tanto prima o poi c’è un condono che cancella tutto.
Le ragioni della maggioranza sono che i capitali all’estero già ci sono e da lungo tempo, tanto vale, in tempi di crisi, offrire uno scudo protettivo, anche se con mal di pancia, pur di riportarli in Italia per finanziare, con la tassa recuperata dalle somme esportate (si parla di circa 300 miliardi) settori delicati come la scuola, gli aiuti agli anziani ed altre iniziative sociali.
Al momento di votare la fiducia chiesta dal governo sul provvedimento ci sono state polemiche incrociate. Da una parte chi, come Di Pietro, ha coinvolto pesantemente il capo dello Stato ingiungendogli di non firmare il provvedimento, accusandolo poi di “viltà” per averlo firmato; dall’altra chi, all’interno dell’opposizione stessa, ha accusato i vertici del partito di aver gestito male la questione.
La concessione della fiducia è passata soprattutto per le numerose assenze dei deputati del Pd, la votazione finale, 270 voti favorevoli e 250 contrari, ha replicato la precedente. Infatti erano assenti 22 deputati della minoranza e ciò ha facilitato il compito della maggioranza.
Insomma, l’opposizione ha gridato allo scandalo e poi non è andata fino in fondo, facendo dire ai maligni (nella maggioranza come in una parte dell’opposizione) che sotto sotto anche il Pd ha dato una mano all’approvazione della legge.
Il punto – e questo è il secondo tema di grande portata politica della settimana scorsa – è che l’opposizione sta attraversando un periodo di grave crisi politica, che cresce nella misura in cui, al posto di affrontarla con una visione e una direzione politica all’altezza del presente e del futuro, cerca di occultarla mettendo l’accento sull’antiberlusconismo, nelle piazze come in tv e sui giornali.
La polemica all’interno del Pd è esplosa quando, dopo i risultati ufficiali dei voti nei circoli che hanno assegnato a Bersani il 55,57%, a Franceschini il 36,46 e a Marino il 7,96%, Filippo Penati, sponsor di Bersani, ha dichiarato alla stampa che “Franceschini non è più segretario”, delegittimandolo per bloccarne una sua difficile ripresa alle “primarie”.
Come si ricorderà, lo Statuto del Pd dice che il Congresso, fissato per il 9 e10 ottobre, non elegge il Segretario, ma prende atto dei voti degli iscritti e rimanda alle primarie del 25 ottobre – alle quali possono partecipare iscritti e non iscritti – l’elezione effettiva di chi guiderà il Pd.
I motivi degli scontri sono tanti. In primo luogo, l’assurdità dello Statuto che contiene procedure, a suo tempo approvate da tutti tacitamente, ed ora giudicate “assurde” dai più benevoli. In secondo luogo, l’assenza di una guida politica, essendo Franceschini più impegnato nella campagna congressuale che nella guida del Pd. In terzo luogo, l’accusa di quest’ultimo, rivolta a Bersani, di essere il signore delle tessere e insieme il tentativo di capovolgere alle primarie il responso dei circoli.
Insomma, c’è una lotta all’ultimo sangue che è personale e nello stesso tempo anche di due diverse visioni politiche che, lungi dall’essere complementari, stanno creando vasti malumori in tutto il Pd.
Sembra di assistere ad una lotta che ha come esito finale l’egemonia nel Pd degli ex dc o degli ex ds, esito finale che comunque comporterà dei morti, dei feriti, alcuni dei quali prenderanno, come hanno già annunciato, altre strade. Uno di questi è Rutelli, che l’ha anticipato in un libro appena uscito e nel quale prefigura un nuovo partito che dovrebbe costruire un ponte con l’Udc di Casini e stabilire alleanze con l’attuale Pd dato per sicuro, ormai, in mano ds.
Siccome Rutelli non è l’unico, ma è solo colui che ha ufficializzato il suo malessere, c’è materiale a sufficienza per far dire che la fase è molto difficile e che se non ci sarà un’opposizione più unita e più seria il rischio è di assistere ad una continua lite condominiale.
✗[email protected]
Articolo precedente
Prossimo articolo
Ti potrebbe interessare anche...
- Commenti
- Commenti su facebook