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21 November 2024
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Il fattore P

Dottoressa sono depresso!

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Salve Cari Lettori! Come si può presagire dal titolo, l’argomento che mi accingo a trattare non è dei più felici: si tratta di una psicopatologia che porta il nome di depressione, che, dai risultati di studi e statistiche sulla sua diffusione nella popolazione, risulta il corrispettivo psicologico del raffreddore nella medicina generale. E nonostante la depressione sia diffusa come un comune raffreddore, c’è una importante differenza nelle richieste di aiuto di chi è affetto da queste patologie: le stesse persone che si rivolgono tempestivamente al medico per trattare un raffreddore più severo e disturbante, possono non arrivare a chiedere alcun tipo di aiuto nel caso in cui siano colpite da sintomi depressivi. Ecco quindi che, nonostante la criticità di questo argomento, non posso fare a meno di trattarlo affinché la malattia mentale diventi qualcosa di cui non si ha più paura, che non rimanga un tabù, perché non riguarda più solo il “pazzo scellerato”, ma potrebbe riguardare il partner, il datore di lavoro, i figli, la dirimpettaia. Come un mio caro collega una volta mi disse: la depressione è la malattia di una società che sta bene economicamente, ove quindi il materialismo e il consumismo hanno inaridito l’anima e la interiorità, facendo perdere il piacere delle piccole cose.

Cerchiamo quindi di capire cos’è veramente la depressione. Innanzitutto, si tratta di un disturbo dell’umore: quando siamo depressi, siamo tristi! Tra i sintomi quindi troviamo l’umore basso che deve essere evidente anche a chi ci sta intorno, ma anche una diminuzione di interessi e capacità di provare piacere (in pratica ciò che prima ci dava una sensazione piacevole, come il coltivare un hobby, non sembra più capace di gratificarci), sensi di colpa e perdita di autostima e infine sintomi più fisici e neurologici come perdita/aumento di peso, insonnia/ipersonnia, difficoltà di concentrazione. Tutti questi sintomi portano ad una patologia laddove causano sofferenza e compromettono il funzionamento (ad esempio, non andiamo a lavoro, la nostra relazione coniugale inizia ad avere dei problemi in virtù dei sintomi, etc…). Questa non è chiaramente la sede per dilungarmi nei criteri che psicologi come me usano per diagnosticare questa patologia, però la giusta informazione ed educazione rappresenta già una forma di prevenzione!

Ciò che a me interessa in qualità di psicologa al di là di quanto espresso sopra (quando infatti mi trovo davanti a casi di questo tipo il mio dovere è quello di fare un invio a colleghi psicoterapeuti e psichiatri) è considerare quelle vie di mezzo, quelle situazioni in cui la persona si trova in un momento di down, di crisi e melanconia, dovuti magari ad eventi di vita particolarmente stressanti, mi vengono in mente trasferimenti, lavoro, relazioni amorose, lutti e chi più ne ha più ne metta. Non c’è infatti una ragione migliore di un’altra per sentirsi tristi, i nostri sentimenti meritano di essere rispettati per come sono e nessuno ha il diritto di giudicarli. Pensiamo alla depressione post-partum: il senso comune condanna spesso le donne appena diventate madri che hanno sintomi depressivi; per quanto la venuta al mondo di un essere umano sia l’esperienza più incredibile che si possa fare, essa comporta una vera e propria metamorfosi nella vita della donna, che le dà il pieno diritto di non essere sempre bella sorridente come la società si aspetta.

Il mio monito è quello di considerare l’idea di una consultazione psicologica, di potersi avvicinare ad un esperto per capire meglio cosa ci sta accadendo, per dare una lettura migliore degli eventi accorsi, per rivedere il bicchiere mezzo pieno e non più mezzo vuoto. Al di là delle etichette diagnostiche, l’ascolto empatico di un professionista potrebbe fare la differenza e rappresentare un valido aiuto cui rivolgersi per tornare a stare meglio, godendo di ciò che la vita, pur nelle sue crepe, ha di bello da darci.

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