Il Pdl si conferma solo in 2 capoluoghi su 15 e al massimo ne avrà altri 4, mentre il Pd ne ha già 4 su 8 e ne avrà sicuramente altri 8. La Lega ha solo Tosi, Grilli la fagocita e Di Pietro conquista Palermo. L’Udc acciuffa un ballottaggio a L’Aquila
Le previsioni erano che il Pdl – che nei 26 Comuni capoluoghi di provincia si presentava in genere da solo e in qualche caso con l’Udc (Palermo e Isernia) o con la Lega (Gorizia) – sarebbe andato incontro ad una sconfitta certa e così non è stato, perché più che di sconfitta si deve parlare di tracollo. Al momento in cui scriviamo i dati sono completi solo per i Comuni capoluohi di provincia, non di tutti i Comuni d’Italia, dove più che con il proprio stemma si è presentato con le liste civiche, quindi è difficile stabilire se il dato dei Comuni capoluoghi sia una tendenza nazionale o meno. Un fatto è certo: dei 15 Comuni capoluoghi il centrodestra ne aveva 15 cinque anni fa (quindi con Lega, Udc, Forza Italia e An), ora si sono ridotti a due sicuri in quanto i sindaci già eletti sono solo Gorizia e Lecce, mentre i possibili, dove cioè il vantaggio è molto netto, sono appena 4 (Trani, Catanzaro, Isernia e Frosinone). Il primo dato è che da solo il Pdl perde, ma non è una questione di solitudine: è che l’elettorato è confuso e ballerino. Secondo gli esperti, avere appoggiato Monti e le tasse ha disamorato il suo elettorale. Alfano ha detto che la sconfitta “è un prezzo per l’Italia”, dovuto alla responsabilità nei confronti del governo, che il Pdl continuerà a sostenerlo per “il bene dell’Italia”, a condizione, però che le prossime scelte saranno condivise. Insomma, non ci sarà più un sostegno a scatola chiusa e soprattutto il Pdl cercherà le alleanze, pare di capire, con l’Udc in modo particolare per tentare di ricomporre la casa dei moderati. Un altro dato, comunque, è evidente: in alcuni Comuni importanti la lista Pdl passa dal 25 al 10 o addirittura al 5%.
Veniamo al Pd, che aveva 8 sindaci nei 26 Comuni capoluoghi ed ora ne ha già riconquistati 4 (Cuneo, La Spezia, Pistoia, Brindisi), ma è in nettissimo vantaggio a Taranto, all’Aquila, a Rieti, a Piacenza, ad Agrigento, ad Asti, a Monza, senza contare che vincerà sicuramente con l’Idv a Palermo, e con il candidato del Sel a Genova. Stando ai risultati nei capoluoghi, il Pd si è confermato partito del 20-25% circa, ma è rimasto al palo, cedendo in vari casi, perché assediato dall’Idv a Palermo, dal Sel a Genova, ma comunque è riuscito a tenere abbastanza bene (Bersani ha parlato di “netto rafforzamento”), anche perché le liste civiche, a cui ha fatto ricorso il Pdl, erano o meno o in molti casi inesistenti, per cui ha potuto aggregare il suo tradizionale elettorato. Anche per il Pd, comunque, vale, seppure in misura molto minore, ciò che abbiamo detto per il Pdl: si pone il problema delle alleanze. Ad una prima valutazione, sembrano pagare quelle con l’Idv e con Sel. Ed ora l’Udc, che si presentava da sola in 17 Comuni capoluoghi. Ebbene, solo all’Aquila è riuscita a conquistare il ballottaggio con il 29% dei voti. Probabilmente, se riuscirà a recuperare le alleanze del centrodestra, ce la potrebbe anche fare a conquistare un sindaco. L’Aquila, per l’Udc, potrebbe essere un banco di prova. Però, a parte, appunto, qualche raro risultato, l’Udc si conferma un partito del 5 per cento, decimale in più o decimale in meno. In sostanza, in primo luogo non ha affatto beneficiato della frana Pdl, in secondo luogo né l’opposizione degli ultimi tre anni, né l’appoggio incondizionato al governo Monti, né il lancio di un nuovo contenitore che possa raggruppare i moderati hanno destato particolari aspettative. Casini non tira come leader nuovo dei moderati: dovrà scegliere se fare la ruota di scorta del Pdl o del Pd. Fli si è confermato un flop, l’Api pure: Fini e Rutelli sono percepiti dall’elettorato come i repubblicani o i liberali di trent’anni fa. La stessa cosa si può dire di tutti i cespugli del Pdl, come Io Sud e sigle varie: hanno fatto atto di presenza, con qualche picco, ma di sola presenza. Il dato politico che si può trarre è che se la futura legge elettorale non garantirà, come l’attuale, seppure con qualche lacuna rappresentativa, il bipolarismo, si ritornerà alla miriadi di partiti e partitini, buoni solo per un pezzettino di potere. Resta da riferire sulla Lega, sul Movimento Cinque Stelle di Grilli e sull’Idv. Sulla Lega l’analisi è lineare: ha vinto al primo turno con l’uomo Tosi a Verona e bene hanno fatto a lasciarlo fare, ma in genere perde dappertutto, falcidiata dalla questione della gestione dei rimborsi elettorali scoppiata alla vigilia delle elezioni e dalle lotte interne. Ha vinto, inutile dirlo, Grilli con il suo movimento che si conferma nel Nord come il terzo e a volte come secondo partito. E’ evidente che l’antipolitica paga: ha sottratto voti soprattutto alla Lega, in parte al Pdl e in parte al Pd.
Infine Di Pietro, che ha trionfato a Palermo con Orlando, esattamente come trionfò a Napoli con De Magistris, ha ottenuto in alcune città un onorevole risultato, ma è destinato anch’esso a rimanere un partito del 5% o su o giù di lì. E’ un giudizio sintetico, evidentemente, come sintetico è quello su Sel, che non offre nessuna prospettiva se non quella di offrire percentuali del 2-3 per cento -e in qualche raro caso di più dovute all’uomo -al Pd, un po’ come i decimali offerti dalla Destra allo schieramento opposto. Monti avrebbe fatto meglio a far approvare con decreto legge la riforma del lavoro ed altri provvedimenti importanti: ora sarà più difficile perché ognuno, soprattutto nel Pdl, cercherà di correre ai ripari chiedendo garanzie per il proprio elettorato. [email protected]