A colloquio con il regista Ciro Cappellari
“Come ti chiami?”, “Francesco.” “Complimenti Francesco, bella voce!” È questo l’epilogo della storia di Francesco, un dodicenne che ha il sogno di cantare davanti al Papa. Questo film documentario ci mostra le vite e le esperienze di due persone totalmente diverse che hanno la possibilità di incontrarsi una sola volta, scambiare solo qualche battuta vivendo, però, un momento indimenticabile. Papa Benedetto XVI incontra sempre tante persone, è a contatto con diverse civiltà, ma quando ascolta la voce di Francesco ne rimane incantato. Francesco, invece, nella sua ingenuità di bambino prodigio, riesce a realizzare il suo sogno e canta per uno degli uomini più importanti al mondo. Ciro Cappellari, il regista argentino di origini italiane, ci racconta come ha realizzato il film, quali sono state le difficoltà e quali le cose belle di questo lavoro. Il film sarà visibile nelle sale cinematografiche svizzere a partire dal 21 aprile.
Da dove nasce l’idea di realizzare questo film?
L’idea risale al 2006, al produttore Peter Weckert che aveva il sogno di realizzare un film su Papa Benedetto XVI. Per questo progetto ha pensato di rivolgersi a me che ho lavorato in diversi documentari e fiction per la televisione.
Il progetto mi ha entusiasmato molto fin da subito anche se io personalmente non sono religioso. La mia famiglia d’origine è molto religiosa, invece. Ho detto subito al produttore che per un progetto del genere ero disposto a realizzare un documentario e non un film a soggetto. Dovevo raccontare la realtà, volevo vedere cosa si cela dietro le mura del Vaticano, sapere chi fosse veramente il Papa.
Inizialmente quindi doveva essere un film a soggetto?
Sì, la trama raccontava di un bambino orfano di 8 anni che arriva a Roma. Presto entra a far parte del corpo delle guardie svizzere, vive in Vaticano e un giorno arriva a conoscere il Papa. Ma tra i primi divieti che ci furono imposti dalle severe regole del Vaticano c’era quello di non poter girare delle scene con degli attori reali. Questa storia di ricerca della religiosità a Roma non poteva essere raccontata con la finzione ma doveva essere mostrata così com’è nella realtà.
Chi è Francesco e come mai la scelta è ricaduta su di lui?
Abbiamo deciso di raccontare la storia di un bambino che fosse a contatto con la realtà vaticana. Scartando l’idea di un chierichetto, che riguarda solo l’aspetto prettamente religioso, ho optato per un bambino del coro “Pueri Cantores” che coinvolgesse nella storia anche l’aspetto musicale, aspetto che appassiona molto il Papa. Ho conosciuto diversi bambini che frequentano la scuola del coro della cappella Sistina, una scuola privata che impegna molto i ragazzi che la frequentano.
Ho voluto osservare la vita di questi bambini che fanno una vita molto impegnativa: la mattina vanno a scuola, il pomeriggio studiano canto e fanno le prove e ogni domenica devono servire messa. Prima di scegliere Francesco ho parlato con i genitori, ho intervistato diversi ragazzi e fatto varie registrazioni. È coinciso che la scuola preparasse l’annuale concerto per il Papa e l’evento si è inserito perfettamente nel nostro documentario.
Francesco è un virtuoso della musica, ha l’orecchio assoluto e una voce perfetta. D’altro canto, e questo è un aspetto importantissimo, Francesco rappresenta il perfetto antagonista del Papa, il suo esatto contrario: la giovinezza contro la vecchiaia, tradizione e la modernità, la vicenda personale ed umana di Francesco che contrasta fortemente con le regole ed il rigore della Chiesa. Francesco viene da una famiglia modesta, cresciuto con la mamma e senza il padre, che li ha abbandonati, non è l’esempio migliore di famiglia come è intesa dalla Chiesa.
Infine Francesco ci porta di fronte al tema della caducità delle cose terrene con la sua voce mortale, così come quella di tutti i pueri, che non è per sempre.
È stato un film molto impegnativo da realizzare visto che si è trattato di seguire addirittura il Papa nella sua vita di tutti i giorni. Quali sono state le maggiori difficoltà?
E’ stato soprattutto entrare nella scuola, ricevere i permessi per riprendere all’interno del Vaticano dove mi hanno dato un tempo massimo di ripresa di soli 3 minuti per scena. Questo era l’aspetto più difficile, tutto era controllato e limitato. È un modo per proteggere la figura di Benedetto XVI, un Papa che non è disponibile, aperto ai media, come invece lo era il predecessore. Questa è una situazione molto difficile.
Seguire il Papa così da vicino le ha permesso di vederlo da un punto di vista diverso dal solito e di conoscerlo meglio?
Quando ho deciso di prendere in mano questo progetto ho studiato la figura di Benedetto XVI e mi sono fatto l’idea di un un grande teologo e studioso. Dopo aver fatto il film ho capito quanto questo Papa fosse serio ma soprattutto troppo conservatore per certi versi.
Eveline Bentivegna