Con la crisi economica che stringe soprattutto l’Europa e il Nord America, la guerra civile in Siria, che rischia di contagiare anche il Libano, forse non interessa realmente l’opinione pubblica occidentale, ma è certo che potrà avere conseguenze inimmaginabili se la comunità internazionale non riuscirà ad affrontare la situazione con razionalità e senza le riserve mentali che in genere stanno dietro ai propri interessi economici e politici.
Hillary Clinton non fa altro che ripetere che Assad deve andarsene e che se l’ecatombe non finisce gli Usa possono anche intervenire unilateralmente. Gli Usa minacciano, ma in realtà non possono intervenire militarmente. In primo luogo, perché la Russia (a cui si è aggiunta anche la Cina) ha messo in guardia da qualsiasi azione unilaterale contro Damasco; in secondo luogo, perché un intervento militare in Siria nel pieno della campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti sarebbe un suicidio per Barack Obama.
Lo scrittore tedesco Jürgen Todenhöfer, ex magistrato ed ex parlamentare, manager editoriale e saggista, colui che ha intervistato due volte Bashar Assad (l’ultima volta un mese fa), in un’intervista a La Stampa, ha detto che “Assad ha ammesso di aver commesso anche errori e ha precisato che molte richieste dell’opposizione sono legittime, così come le manifestazioni di protesta pacifiche. Ha detto perfino che tra i ribelli, che lui chiama terroristi, c’è chi combatte per degli ideali. Ma la notizia dell’intervista, ignorata dai media occidentali, è la sua affermazione di essere pronto a negoziare con tutti gli oppositori, portatori o meno di richieste legittime, purché depongano le armi”. Le stesse cose Assad le ha ripetute a Kofi Annan mesi addietro, allorché l’inviato dell’Onu si dava da fare per garantire il cessate il fuoco che troppi, in realtà, non volevano, ponendo come unica condizione le dimissioni di Assad.
C’è un altro passo dell’intervista di Jürgen Todenhöfer che fa riflettere ed è quando dice che “L’occidente conosce solo il Syrian Council, i dissidenti della diaspora pressoché irrilevanti nel Paese. Dietro la Siria c’è invece un’opposizione armata molto forte e una disarmata fatta di comunisti, liberali o nazionalisti, gente che ha passato anni in prigione ma, consapevole di quanto il popolo sia diviso, ritiene che l’unica via per evitare la guerra civile sia negoziare con Assad. Di loro, però, non si parla”.
Dunque, a provocare la guerra civile non sono le “opposizioni disarmate”, ma quelle armate, guidate dai sunniti e dai terroristi di al Qaeda, come riferiscono le cronache internazionali, interessati ad eliminare un dittatore (Assad) per sostituirlo con un potere fondamentalista che farebbe rimpiangere Assad.
Bisogna dire che ci stanno riuscendo. Gli Usa, infatti, cosa fanno? Al posto di cogliere l’occasione di fermare la guerra civile schierandosi dalla parte delle “opposizioni disarmate”, spingono gli animi arroccandosi dietro lo slogan “via Assad”, che è poi quello medesimo delle “opposizioni armate”.
Il vice premier siriano Qadri Jamil, l’altro ieri, ha detto: “Nel quadro di un dialogo si può discutere di qualsiasi problema, anche di questo”, con riferimento alle dimissioni di Assad.
Ed allora di nuovo la domanda: perché gli Usa stanno a guardare e non colgono l’occasione del dialogo? C’è un’interpretazione malevola che vuole che agli Usa convenga la situazione torbida in Siria, che permette loro di fare la voce grossa con l’unico scopo d’impedire a Israele di attaccare l’Iran in campagna elettorale. Dal che, si deduce che dopo le elezioni (5 novembre), Israele potrebbe agire, sicuro del sostegno americano, secondo un’interpretazione che già emerse da fonti del Pentagono mesi or sono. E intanto la Siria brucia, con rischio, come dicono le cronache, di contagio in Libano e altrove.
Se così fosse – e bisogna attendere solo pochi mesi per verificarlo – sarebbe agghiacciante.