A Pechino l’ambasciata statunitense misura i valori dell’inquinamento dell’aria e i cinesi non vogliono perché i loro dati sono più affidabili di quelli ufficiali
All’indomani dell’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca, l’amministrazione americana inaugurò una nuova stagione di politica estera che si basava su due capisaldi: il dialogo con il mondo arabo-musulmano, con il famoso discorso al Cairo, e il dialogo con la Cina, potenza emergente. Il dialogo con il mondo arabo-musulmano non ha fatto molti progressi. Obama ha soffiato sul fuoco della protesta dopo aver spinto i governanti (Mubarack e Ben Alì) ad aprire alla democrazia, senza però ottenere nulla. Ha scelto, dunque, la via del sostegno ai manifestanti, ma poi le manifestazioni sono degenerate, fino a creare situazioni, ancora in movimento, che però non hanno prodotto miglioramenti. Via Mubarack, via Ben Alì, in Egitto le elezioni prossime (secondo turno) sono tra l’ex premier di Mubarack e il rappresentante del partito islamista. Dalla padella alla brace. In Libia, dove anche se indirettamente ha portato la guerra per eliminare Gheddafi, la situazione non è migliore. E’ vero che nemmeno lo status di prima era più tollerabile, ma è certo che gl’interventi esterni finiscono sempre per complicare le cose, non per semplificarle. Non sempre le scorciatoie si rivelano un guadagno. E veniamo alla Cina, con la quale si cominciò a parlare di G2, a sottolineare il rapporto privilegiato tra i due Paesi su una serie di temi, tra cui l’economia e la pace. Il G2 fu definito la speranza del nuovo secolo. Intendiamoci, l’idea della pacificazione dei due mondi (occidentale e musulmano) era ed è buona, così come lo era e lo è il rapporto con la Cina. E’ meglio cooperare al benessere collettivo che cercare di farsi strada a gomitate o, peggio, a carri armati. Solo che quando le differenze e gl’interessi sono forti e opposti, il cammino è lastricato di difficoltà più o meno grandi e magari finisce per lasciare nel dimenticatoio le belle intenzioni.
Nel rapporto tra Usa e Cina il dialogo si svolge sempre sul filo del rasoio. Gli Usa sono una potenza economico-militare, anche se ora in difficoltà a causa della crisi, la Cina, appunto, è una potenza emergente, per alcuni versi moderna (armamenti), per altri indietro (economia, diritti civili, ambiente). Alla fin fine, tra la democrazia e la dittatura i contrasti, anche al di là dei reciproci interessi, non possono mancare. E, infatti, non sono mancati, anzi, si fanno sempre più aspri, pur mantenendo su tutto il dialogo diplomatico (vedi l’Iran e la Siria). Le materie su cui si misura la distanza tra i due Paesi sono le più disparate. Economicamente ognuno dei due Paesi cerca di approfittare delle difficoltà dell’altro; militarmente gli interessi degli Usa sull’area del Pacifico non possono non scontrarsi con quelli della Cina; sull’ambiente lo scontro è in atto da tempo e lo si è visto in occasione dei vari meeting internazionali.
Ultimamente, pur facendo buon viso a cattivo gioco, i contrasti sono sull’inquinamento dell’aria in Cina. L’ambasciata americana a Pechino, da anni, misura la salubrità dell’aria sulle particelle Pm 2,5 rilevati dalle apparecchiature in dotazione all’ambasciata. Questi dati, poi vengono diffusi a titolo d’informazione su siti non censurati ed è chiaro che poi diventano di dominio pubblico e suscitano contrasti perché sono di segno diverso: le misurazioni cinesi sono una cosa, quelle americane un’altra. Insomma, siamo alle solite: alla libertà inesistente e alla manipolazione reale dei dati. Il vice ministro dell’ambiente, Wu Xiaoqing, si appella alla Convenzione di Vienna e sì, ammette che in Cina, Paese in via di sviluppo, gli standard occidentali sono severi e che il problema dell’inquinamento esiste, ma non si possono infrangere le leggi cinesi impunemente. Gli Usa sanno che i dati dell’ambasciata sull’inquinamento sono seguiti dai cinesi che credono più in quelli statunitensi che in quelli cinesi e sono quasi obbligati a misurare il livello d’inquinamento perché nella zona dove si trova l’ambasciata spesso l’aria è irrespirabile. Insomma, c’è una piccola guerra diplomatica. Nel 2010 la Cina misurava l’inquinamento dell’aria sul Pm10, cioè su elementi poco dannosi rispetto al Pm 2,5. Si dirà che si tratta di piccoli contrasti, ma non è vero, perché sono talmente tanti che alla fine non si è d’accordo su nulla, a parte le dichiarazioni ufficiali, utili per la stampa. E i cinesi? Beh, quelli sanno da che parte stare: non si fidano dei dati cinesi. Del resto, a Pechino, non c’è bisogno di rilevamenti per accorgersi che l’aria è irrespirabile.