Con Gianna Nannini non funziona la solita formula dell’intervista all’artista di turno. Con lei è un piacere chiacchierare, scoprirla, ridere assieme e concedersi alle battute, di qualsiasi natura. Ti senti al bar, al pub, in giro sulla moto. E ci si può dire di tutto, parlare della rivoluzione musicale, della sua voglia di riscatto della musica italiana d’autore nel panorama musicale mondiale, per poi parlare di come la sua Penelope sia contenta di andare a scuola e di quanto sia buono il pane svizzero. Non ci si scandalizza con Gianna, assolutamente informale, che sconvolge i ruoli tra intervistato e intervistatore…dopo tutto lei è una che ha fatto la rivoluzione della musica e che ha ancora i numeri giusti per continuare a rivoluzionare tutto. Non chiamiamola “Intervista a Gianna Nannini”, non farebbe giustizia a questo incontro dal quale, purtroppo, non si riuscirà a far trasparire la ricchezza e la bellezza della persona di Gianna Nannini e dell’artista di Gianna Nannini. Ce ne fossero come lei….e forse, chi lo sa, con una Gianna Nannini al governo…l’Italia ne canterebbe quattro all’Europa!
Hitalia è il titolo dell’album, è geniale perché rende subito l’idea del progetto…
Sono partita dal titolo, mi è venuta l’idea di fare un album che valorizzasse l’Italia in tutti i suoi aspetti culturali della canzone e soprattutto far capire che si può fare una canzone di musica italiana senza rimanere confinati nel nostro Paese.
Come è avvenuta la scelta dei brani? Possiamo definirla un po’ la tua Hit personale?
La scelta non è stata fatta con la testa. Ho scelto dei brani che mi riguardavano dei passaggi importanti della mia vita, come delle citazioni personali. Sì, è un po’ la mia Hit personale, di quello che appartiene a me, ma anche a quelli che sono famosi in tutto il mondo: l’intenzione era di rendere in rock dei brani dei quali sono state fatte cover all’estero, come ‘O sole mio, Io che non vivo, tante versioni de Il mondo… ci sono tante canzoni italiane che prima venivano fatte in inglese, invece oggi è il contrario, si fanno quelle inglesi. Volevo far venire fuori la nostra lingua come una lingua popolare nel mondo non confinata.
Cosa hanno significato per te queste canzoni, nel tuo percorso musicale?
Ognuno ha la sua storia. Le ho messe insieme per realizzare una piccola opera cantata attraverso i brani di Don Backy, Endrigo, Guccini di cui ero supporter del concerto… Nella scelta dei brani si vede inoltre quel passaggio dalla fine della canzone bella italiana a quella dei cantautori fino all’arrivo del rock italiano con me e Vasco. Ho voluto rendere questo percorso, dal bel canto italiano di Beniamino Gigli fino al rock di Vasco Rossi per racchiudere un’epoca e per aprirla al futuro. Musicalmente parlando io sono nata con Modugno. A 5 anni ho iniziato a cantare perché ho visto Modugno, anche per questo ho inserito Volare, oltre al fatto che sia la canzone più popolare che abbiamo nel mondo e che adesso si fa fatica a trovare una canzone che va fuori dai confini dell’Italia. Nel futuro mi auguro che possa essere ancora possibile. L’ho fatto anche come manifesto della musica italiana, una piccola rivoluzione culturale per far capire quanto è importante la canzone italiana nel mondo oggi, non relegandola al passato.
È la prima volta che realizzi un album di cover. Perché è arrivato il momento di “Cantare gli altri”?
Sì è la prima volta, una volta nella vita va fatto! Avevo un album pronto di inediti, ma volevo aspettare, non volevo forzare l’ispirazione volevo fare anche un po’ più di ricerca. Inoltre questo album mi ha dato anche delle cose nuove. Ho fatto tutto come piaceva a me, molte cose le ho modificate altre sono rimaste come sono. È diverso da quando fai un disco, perché quando fai il tuo disco devi scrivere musica e parole, fai un percorso di sofferenza finché non è finito. C’è meno responsabilità a cantare gli altri, devi solo cercare di cantarle bene, di non sciuparle.
Se un giorno qualcuno dovesse scegliere una tua canzone per cantare un “pezzo” rappresentativo dell’Italia, quale ti piacerebbe che scegliesse?
Una sola non lo so… da Ragazzo dell’Europa a Sei nell’anima. Sono due periodi diversi e nel mezzo poi c’è tutto il resto. Ragazzo dell’Europa è l’inizio della musica europea, con Conny Plank (produttore discografico e musicista tedesco, ndr) abbiamo sperimentato sulla canzone italiana, sui ritmi nord africani, coniando un sound che poi si è sviluppato con Will Malone (produttore discografico e musicista inglese) fino all’ultimo disco Inno. Sei nell’Anima non so come mai mi è venuta questa canzone, ha spopolato!
Hai scelto “Lontano dagli occhi” (Sergio Endrigo) come singolo di lancio dell’album. Perché proprio questo pezzo?
È un tipico ritmo nostro, 12 ottavi, che non si usano più e quindi volevo riscoprire un po’ questa canzone, volevo lanciare una sfida e vedere se questa canzone viene trasmessa in radio e infatti viene trasmessa ed è una cosa eccezionale perché difficilmente succede con una canzone con questi ritmi.
È l’unico autore di cui hai inserito due brani (“Io che amo solo te”), come mai?
È stata una cosa del tutto casuale, potrei fare tutto l’album con le canzoni di Endrigo, perché aveva un modo di scrivere e di comporre che mi piace molto, è molto simile a me, melodie larghe, parole larghe e poi mi ricorda un periodo in bianco e nero. È un autore da riscoprire e ho inserito due sui brani per dargli ancora più importanza, perché pochi lo conoscono.
Nell’album ci sono anche alcuni duetti… Come è stato cantare con questi artisti e come hai vissuto questi duetti?
I duetti non sono stati scelti prima. Avevo necessità di una voce maschile per cantare la parte bassa de “Il Cielo in una stanza”. Perché non chiederlo direttamente a Gino Paoli? L’ho chiamato ed ha subito accettato con piacere. Con Vasco abbiamo cominciato assieme, il rock in Italia è iniziato con me e lui, è stata una vera e propria reunion, è stato molto carino ad accettare di cantare nel mio disco perché lui non canta mai nei dischi degli altri. È stato emozionante. Facevamo la sua canzone, ma lui che mi raggiunge sull’inciso è una cosa fuori dal normale.
Sei la rocker italiana più amata in assoluto. Non senti l’importanza di questo ruolo?
In Italia il rock è stato difficile portarlo, perché non c’era. Da donna poi… già in generale ci sono poche donne che scrivono, tolta Carmen (Consoli ndr), Elisa… sono molti più uomini che scrivono, tanto che nell’album non c’è nessun brano di una donna perché ho fatto fatica a trovarne uno. È stato difficile far capire il rock, che faccio rock. All’inizio Fotoromanza era troppo italiana e dava fastidio. Era il periodo delle cover inglesi e una canzone troppo italiana, seppur rock, dava fastidio. Io invece insistevo sull’italianità, sulla musica italiana. È stato molto più faticoso ma alla fine i risultati ci sono stati.
Se dovessi disegnare l’Italia di oggi attraverso la musica contemporanea, invece, quali artisti guarderesti?
Dei nuovi sicuramente Mengoni e Negramaro che hanno portato qualcosa di nuovo.
Cosa speri che possa rappresentare Hitalia?
È un esempio di come si possa fare una bella canzone in rock. Se il governo italiano facesse un disco bello così, forse avremmo speranze! (ride)
Ma è difficile, non c’è mica Gianna Nannini al governo…
(Ride) È una battuta ovviamente, non ci penso nemmeno ad andare al governo… (per rompermi le balle poi….)
Che progetti hai nei prossimi mesi?
La tournee che parte a maggio poi parteciperò a Rock meets classic (show rock itinerante ndr), è una nuova esperienza live che voglio fare, suonare con un gruppo rock ma anche con l’orchestra sinfonica di 60 elementi. Poi, oltre alla tournée italiana a maggio, forse una in autunno.
C’è la possibilità di vederti in Svizzera?
Certo, c’è senz’altro anche questa possibilità!
Eveline Bentivegna