Una nuova ricerca dimostra che anche il caso ha il suo ruolo nella malattia: ma ambiente ed ereditarietà sono comunque determinanti
Quello che ormai è certo è che non c’è tumore che non sia legato ad una qualche forma di anomalia del DNA: anomalie che possono essere annidate nel nostro organismo già dalla nascita, per questioni ereditarie, o che, invece, acquisiamo nel corso del tempo a causa di fattori ambientali. Per anni si è quindi creduto che l’ambiente (ovvero l’inquinamento, le cose che mangiamo, il fumo e così via) e l’ereditarietà (ovvero le mutazioni pericolose che si trasmetteno da genitori a figli e nipoti) fossero gli unici fattori a determinare l’insorgenza della malattia.
Ma Bert Vogelstein, genetista e co-direttore del Ludwig Center e del Johns Hopkins Kimmel Cancer Center di Baltimora (Maryland), e Cristian Tomasetti, biostatistico italiano che lavora presso lo stesso centro e presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, già in un loro studio del 2015, pubblicato sulla rivista Science, ipotizzavano che di cancro ci si potesse ammalare anche ‘per caso e per sfortuna’. “Il paradigma tradizionale è che il cancro ha cause ereditarie, ambientali e legate agli stili di vita. Noi, all’inizio volevamo quantificare il peso di ciascuna di queste cause. Per farlo avevamo bisogno di eliminare il cosiddetto rumore di fondo: i fattori legati al caso.
Ma andando avanti con le nostre statistiche ci siamo accorti che il caso non era affatto un rumore di fondo. Anzi, giocava un ruolo principe nel causare le mutazioni del Dna che a loro volta causano il cancro”, ha precisato il dott. Tomasetti. Lo studio del 2015 aveva due principali limiti: era stato condotto solo sulla popolazione americana e non includeva due dei tumori più frequenti: quello del seno e della prostata. I due ricercatori hanno adesso approfondito il loro studio utilizzando i dati raccolti in 69 paesi e relativi a 32 diversi tipi di tumore. E hanno fatto un passo in avanti.
L’analisi avrebbe permesso loro di stabilire che le mutazioni, nella misura del 66%, sono dovute al caso; il 5% è legato a fattori ereditari e il 29% è imputabile a stili di vita scorretti. Una cellula normale diventa tumorale quando nel suo Dna si accumulano almeno due, tre mutazioni che la fanno ‘impazzire’.
Vogelstein e Tomasetti hanno calcolato oggi che ben due terzi di queste mutazioni dipendono da errori casuali che le cellule normalmente fanno quando si dividono e replicano la loro doppia elica. “E che avverrebbero comunque, qualunque cosa facciamo. Anche andando a vivere su un pianeta con l’aria pulita, senza raggi del sole e mangiando solo cose sanissime, queste mutazioni ci farebbero ammalare lo stesso”, spiega Vogelstein. Dire che per il 66% le mutazioni sono casuali non vuol dire che il 66% dei casi di cancro è dovuto alla sfortuna e quindi non è prevenibile. “Facciamo un esempio: se una cellula del polmone è diventata cancerosa dopo aver subito tre mutazioni, e solo una di quelle mutazioni era causata dal fumo, vuol dire che quella malattia era prevenibile”, spiega Tomasetti.
Ogni volta che una cellula si divide, in ciascuno dei tessuti del nostro corpo, lascia nel Dna degli errori di copiatura. “Da tre a sei per ogni duplicazione. E negli 80 anni della vita di un uomo una cellula può dividersi fino a 5mila volte”, precisa Tomasetti.
Queste ‘sviste’ possono avvenire ovunque nella doppia elica. Spesso non hanno conseguenze, ma se toccano uno dei geni che promuovono il cancro e se si accumulano una dopo l’altra, possono far nascere la malattia. “Più alto è il numero di divisioni cellulari che avvengono in un tessuto, più alto è il rischio di ammalarsi. Meri errori di copiatura rappresentano il 95% di tutte le mutazioni nei tumori di prostata, ossa e cervello. Nel caso dei polmoni, invece, il ruolo della ‘sfortuna’ scende al 35%. Il 65% delle alterazioni del Dna, nell’organo più esposto al fumo di sigaretta e all’inquinamento, resta attribuibile a fattori ambientali che semplicemente si sommano a quelli casuali, modificandone le proporzioni ma non i valori assoluti”, aggiunge il ricercatore.
“Nelle cellule tumorali di un non fumatore troviamo in media cento mutazioni genetiche. In quelle di un fumatore trecento. Questo non ci permette di dire che il fumo causa con certezza la malattia. Può darsi infatti che fra le cento mutazioni ce ne siano alcune che coinvolgono i geni promotori del cancro, o che questi geni siano risparmiati del tutto dalle trecento mutazioni dei fumatori. Ma di sicuro le sigarette aumentano il rischio”, spiega Tomasetti che per chiarire ulteriormente fa l’esempio dell’amanuense: “Se è stanco e distratto (fattori ambientali e stili di vita scorretti) o ha la penna rotta (fattori genetici) commetterà sicuramente più sbagli. Ma anche nelle condizioni ideali, le imperfezioni nella sua scrittura non saranno mai ridotte a zero. Fa parte del nostro essere uomini”.