I bilanci in corso d’opera non mi sono mai troppo piaciuti. Soprattutto se si tratta di valutazioni cadenzate sul calendario anziché sulla vita reale delle persone o sulle dinamiche politiche e istituzionali, che per loro natura sono fluide e sfuggono a sistemazioni astratte o forzate. Lasciamo, dunque, i bilanci ai ragionieri che maneggiano numeri e partite doppie e teniamo, fin quando è possibile, la ragioneria lontana dalla politica. Ce ne sono fin troppo di politici “ragionieri”, sicché non è il caso di ingrossarne le fila. Tanto più che personalmente ho sempre preferito avere un rapporto diretto con i cittadini e, semmai, cedere alla tentazione dell’intuizione politica e di un confronto segnato da quelle passioni civili ed idealità che mi hanno messo sulla strada della militanza, che poi avrei percorso fino in fondo, fino all’impegno parlamentare.
Mi sono consentito questa introduzione tra lo scherzoso e il caustico perché sono convinto che dal punto di vista politico, in particolare per quel che riguarda gli italiani all’estero, non siamo alla fine di un ciclo, che possa giustificare bilanci e consuntivi, ma nel pieno di una transizione di cui non è facile intravedere l’esito. Questa legislatura, come tutti ricordano, è riuscita a superare le sue acute contraddizioni iniziali e le tensioni legate all’avvicendamento del governo Letta per il senso dello Stato dimostrato in quei difficili frangenti dal Presidente Napolitano e per duplice impegno di risanare le istituzioni e di avviare la ripresa economica, che Renzi ha proposto come ragione dirimente del suo esecutivo. Ebbene il piano di riforme istituzionali, per quanto delineato nel suo impianto fondamentale, sta percorrendo il suo lungo e complesso cammino nei due rami del Parlamento e la nuova legge elettorale, che doveva avere una naturale priorità, non ancora riesce a liberarsi dal gioco dei tatticismi e dei veti incrociati che per lungo tempo ne hanno irretito l’approvazione. In più, con la fine del semestre italiano in Europa, sembra essersi conclusa la fase di prolungamento del suo alto incarico che il Presidente Napolitano, per puro senso di responsabilità, ha imposto a sé stesso e concesso alle forze politiche.
Il 2014, dunque, consegna all’anno che sta per entrare una bella matassa di scelte e di impegni dai quali dipendono le prospettive dei prossimi anni e probabilmente la stessa sopravvivenza della legislatura. Al di là delle dinamiche politiche e istituzionali, i mesi che verranno diranno se l’Italia, anche per la drammatizzazione dei problemi che la crisi ha determinato, riuscirà a darsi un assetto istituzionale più sobrio, più incisivo, più veloce nelle decisioni e nella attuazione delle scelte, in una battuta più adeguato alle necessità del presente. Nello stesso tempo, si vedrà se la crisi della politica, ma forse faremmo bene a dire della cattiva politica, possa essere affrontata con gli strumenti della buona politica, non solo prevedendo, ad esempio, meccanismi capaci di assicurare un maggiore tasso di stabilità e di governabilità, ma anche riconsegnando agli elettori la possibilità di scegliere direttamente i propri rappresentanti. L’occasione di una nuova legge elettorale potrà essere utile anche per reinquadrare la normativa per gli italiani all’estero, aumentando le prerogative di sicurezza e di segretezza richiesta dalla Costituzione, alla luce di proposte che noi stessi abbiamo presentato facendo tesoro dell’esperienza di questi anni.
Pertanto, guardando a questi problemi nell’ottica degli italiani all’estero, una cosa forse si può già dire: nel complesso disegno delle riforme costituzionali la circoscrizione Estero, intesa costituzionalmente come garanzia dell’effettività dell’esercizio dei diritti politici di quattro milioni di italiani, sarà mantenuta, sia pure con riferimento alla sola Camera, dal momento che il Senato, com’è noto, nella prospettiva del superamento del bicameralismo perfetto, avrà funzioni diverse rispetto al passato. Un risultato non da poco, in termini di riconoscimento e di agibilità democratica, considerato che “saggi” e ministri del precedente governo, appena alcuni mesi fa si dichiaravano pronti ad eliminare l’”anomalia” di una presenza, quella della Circoscrizione Estero e dei rispettivi eletti, da molti mai veramente digerita.
Ma, ad di là di questo aspetto positivo, è inutile negare che c’è un problema di visibilità e di organicità della rappresentanza degli italiani all’estero che va riconosciuto ed affrontato senza ulteriori indugi. Per quanto riguarda la visibilità, che non ha nulla a che vedere con le civetterie politiche e i personalismi, resto convinto che pur riconoscendo il valore e l’incisività dei due Comitati per gli italiani nel mondo istituiti alla Camera e al Senato, la soluzione ottimale sarebbe quella di un Commissione bicamerale, con poteri definiti dalla legge, che sia in dialogo costante con il Governo e che assolva ad una funzione di rilevazione di problemi, di elaborazione di tematiche e di monitoraggio delle migrazioni in uscita e in entrata nel Paese.
Quanto all’organicità, il nodo del raccordo dei diversi gradi della rappresentanza degli italiani all’estero, dai COMITES ai parlamentari passando per un rinnovato CGIE, evocato sistematicamente ma mai affrontato in termini di cambiamento, va sciolto alla luce degli esiti della riforma costituzionale e della prova che darà il nuovo sistema di voto per corrispondenza con iscrizione negli elenchi degli elettori. Confesso di aver mal digerito, come altri colleghi, la riduzione del numero dei COMITES dovuta agli accorpamenti dei consolati e la rimodulazione della composizione del CGIE, che ho sempre considerato un organismo fondamentale non solo per il raccordo che può realizzare in ambito nazionale tra gli stessi COMITES e tra questi e i parlamentari, ma per le prerogative di controllo, parere e proposta che può esercitare nei confronti delle istituzioni italiane. Chi, come me, è stato partecipe del lungo impegno delle nostre comunità per affermare il diritto alla piena cittadinanza e alla rappresentanza sa che ridimensionare il ruolo di questi organismi, che vanno certamente adeguati ai tempi ma non stravolti, significa aprire un problema di democrazia e fare un danno all’Italia, perché sarebbe privata di energie e strumenti di proiezione nel mondo.
La crisi sociale e occupazionale acutissima e prolungata ha scritto sulla nostra agenda di lavoro un tema di forte attualità: la ripresa dell’emigrazione. I Paesi europei ne sono pienamente coinvolti, anche se non in modo esclusivo. Ormai anche le statistiche ufficiali, note per la loro prudenza e per la loro parzialità, la segnalano con dati inequivocabili. Si tratta di un fenomeno diverso rispetto a quelli che abbiamo conosciuto in passato, per la maggiore fluidità della mobilità a livello europeo e per le caratteristiche sociali e culturali dei protagonisti. E tuttavia, non possiamo limitarci ad assistere augurando buona fortuna o lamentandoci per le energie che si sottraggono al futuro della società italiana. E’ necessario che la nostra rete consolare sia ripensata alla luce di questa emergenza, che siano garantiti i servizi necessari per sostenere questi nuovi migranti nella delicata fase dell’insediamento in altre realtà, che la rappresentanza di base e il tessuto associativo siano messi nella condizione di dialogare con queste persone fornendo informazioni e sostegno e offrendo occasione di ricostruzione di quella socialità che l’espatrio ha lacerato. Oltre al dovere verso nostri concittadini, c’è l’interesse per l’Italia a non perdere i contatti con questi soggetti che spesso hanno notevoli qualità professionali e possono diventare interlocutori importanti per il nostro impegno di trovare all’estero le occasioni di ripresa che all’interno non si presentano.
Uno dei problemi da affrontare è quello della formazione interculturale e plirilinguistica dei ragazzi che i nuovi migranti portano con sé o che nascono all’estero. E qui arriviamo alla straordinaria e crescente centralità che la promozione della lingua e della cultura italiana deve avere nel nostro dialogo con il mondo. E’ stato, questo, il mio maggiore impegno a livello parlamentare, tradottosi in presentazione di progetti di legge e interventi di vario tipo. Ancora di recente, in occasione del passaggio della legge di stabilità alla Camera, il Governo ha accolto un mio ordine del giorno nel quale non solo ponevo la questione del reintegro dei fondi destinati a questo intervento, ma chiedevo altre due cose essenziali: l’intreccio tra la promozione della lingua e della cultura con i programmi di internazionalizzazione, in modo da allargare anche alle attività economiche la forza di attrazione che la cultura italiana possiede; l’apertura di un confronto tra Governo e Parlamento per una riforma generale del sistema, ormai matura, anzi necessaria per reggere alla competizione che si è scatenata a livello mondiale nel così detto mercato delle lingue. Ecco, un punto di eccellenza ce l’abbiamo. Questo governo, il governo delle riforme, quest’occasione dovrebbe cercare proprio di non perderla.