Dolore fisico e dolore sociale, dovuto a tradimento oppure ad isolamento dal gruppo, producono sulla psiche gli stessi effetti
Bastano sessanta secondi di dolore fisico o sociale per sentirsi esclusi o ignorati. È la conclusione alla quale sono giunti gli autori della ricerca «The consequences of pain: The social and physical pain overlap on psychological responses», che è stata appena pubblicata nella versione online dello European Journal of Social Psychology. Per dolore sociale i ricercatori intendono il dolore derivante da lutto, esclusione, tradimento o uno stato di isolamento. Lo studio, è stato condotto da un team internazionale guidato da Paolo Riva, assegnista di ricerca del dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con James H.Wirth, assistant professor presso la University of North Florida, e Kipling Williams, docente alla Purdue University. Il lavoro è partito da alcuni spunti presenti in letteratura secondo i quali il dolore fisico, per esempio il classico dito schiacciato, e quello sociale, condividono i medesimi circuiti neurali. La scoperta dei ricercatori è stata che i due tipi di dolore producono risposte psicologiche del tutto simili. La fase sperimentale della ricerca si è svolta negli Stati Uniti, presso i laboratori della Purdue University, nello stato dell’Indiana, e ha coinvolto un campione complessivo di 215 fra laureandi e studenti dello stesso ateneo con un’età media intorno ai vent’anni. L’ipotesi è stata testata con due esperimenti. Nel primo, un campione di 115 individui è stato suddiviso in tre gruppi ai quali è stato chiesto di rievocare rispettivamente un’esperienza passata di dolore sociale (es. un tradimento, un’esclusione sociale), di dolore fisico oppure una routine giornaliera (condizione di controllo). Alla rievocazione ha fatto seguito il completamento di scale di self-report finalizzate alla misurazione della soddisfazione di quattro bisogni psicologici fondamentali (senso di appartenenza, autostima, senso di controllo, esigenza di una vita significativa), delle emozioni e delle tendenze antisociali. Il secondo esperimento è stato condotto su un campione di 100 individui suddivisi in due gruppi, assegnati in modo casuale a condizioni di dolore sociale o fisico. Il dolore sociale è stato indotto attraverso l’utilizzo di Cyberball, un gioco fittizio on-line che permette di includere o escludere un giocatore da un’interazione sociale.
Il dolore fisico è stato indotto attraverso l’uso del Cold Pressor task, un compito che consiste nel chiedere a un partecipante di mantenere la mano non dominante all’interno di acqua a bassa temperatura (5 gradi centigradi). Al termine di queste manipolazioni, ai partecipanti è stato chiesto di completare le stesse scale utilizzate nel primo esperimento con l’aggiunta di una scala di misura della percezione di essere esclusi e ignorati. Ebbene, il risultato di entrambi gli esperimenti ha dimostrato che sia l’induzione di dolore sociale sia l’induzione di dolore fisico riducono autostima, controllo, senso di appartenenza e percezione di significatività dell’esistenza e incrementano l’intensità delle emozioni negative e delle risposte antisociali. Il secondo esperimento ha mostrato inoltre che sia il dolore sociale che il dolore fisico inducono i partecipanti a sentirsi psicologicamente esclusi e ignorati. «In generale – commenta Paolo Riva – questi risultati suggeriscono che anche induzioni minimali di dolore sociale (come l’esclusione da un gioco on-line) e fisico (come tenere la mano nell’acqua fredda) possono avere un impatto psicologico profondo». Da un punto di vista applicativo, i risultati di questo studio potrebbero avere ricadute importanti per la gestione del dolore del paziente. «Studi precedenti – prosegue Riva – hanno messo in evidenza la tendenza dei professinisti della salute a dubitare del dolore riportato dal paziente quando questo si manifesta contemporaneamente a situazioni di disagio psicologico (come gli stati depressivi). In questa ottica, il dolore riportato da chi soffre può essere erroneamente attribuito dagli operatori alla depressione piuttosto che il contrario, ossia l’attribuzione della situazione di disagio psicologico alla presenza di dolore fisico».