Chi di crocifisso ferisce, di crocifisso perisce.
La settimana scorsa il Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) ha preso una decisione drastica: ha espulso dalla Magistratura il giudice Luigi Tosti, ribattezzato il “giudice anticrocifisso”.
Davanti alla commissione disciplinare del Csm lui stesso aveva detto: “Siano tolti i crocifissi dalle aule e dagli uffici pubblici. Oppure rimuovetemi”.
È stato subito accontentato, ma ora non accetta la decisione e intende fare appello in Cassazione e, se necessario, alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
La vicenda è iniziata molto tempo fa, nel maggio del 2005, quando, giudice del tribunale di Camerino (Macerata) si rifiutò di tenere udienze se non fossero stati rimossi i crocifissi da tutte le aule giudiziarie italiane.
Nel febbraio del 2006 il Csm sospese il giudice, tanto è vero che da allora, riferisce lui stesso, “percepisco due terzi dello stipendio, circa 3.500 euro. E continuerò a percepirlo fino all’ultimo grado della sentenza”.
Contemporaneamente fu denunciato per omissione di atti d’ufficio e il tribunale de L’Aquila lo condannò a sette mesi e ad un anno di interdizione dai pubblici uffici.
La Corte d’Appello confermò la sentenza di primo grado, ma poi la Cassazione annullò le condanne con la motivazione che il comportamento del giudice non aveva impedito lo svolgimento delle udienze in quanto era stato sostituito da altri giudici.
La Cassazione, nelle altre motivazioni, aveva citato la circolare del ministro della Giustizia del 1926.
Detta circolare imponeva il simbolo religioso nelle aule giudiziarie, per cui la Cassazione, appellandosi al principio costituzionale della laicità dello Stato, aveva ritenuto superata la circolare del 1926 e dunque dava ragione al giudice Luigi Tosti.
Nel frattempo è intervenuta la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha condannato l’Italia a togliere il crocifisso dalle aule scolastiche e dagli spazi pubblici. Ma la sentenza della Corte Europea non ha effetti immediati e comunque parla solo di simboli religiosi, mentre il crocifisso è diventato oltre che simbolo religioso anche simbolo d’identità e tradizione culturale italiana. Proprio in questi giorni, infatti, il governo italiano ha ultimato la formulazione del ricorso che, sulla base di questi concetti, presenterà contro la prima sentenza.
Indipendentemente, però, dai pronunciamenti della Corte Europea, l’Italia, essendo Stato sovrano, non è tenuta ad ottemperare in questa materia alle decisioni della Corte Europea.
Insomma, la questione è aperta. Il giudice Tosti, però, la voleva chiudere anzitempo e si è rifiutato di lavorare in un’aula “dedicata”, senza simboli religiosi, messa a disposizione dal tribunale, ribadendo: “Mi sono rifiutato di lavorare come un appestato in un’aula dedicata. Ho risposto: mettiamo piuttosto in ogni aula una menorah ebraica e il simbolo dell’Unione atei”.
In sostanza, il giudice pretendeva che il crocifisso fosse tolto non solo dalla parete dell’aula del tribunale dove prestava servizio lui, ma dalle aule di tutti i tribunali e di tutti gli edifici scolastici italiani.
Ha precisato: “Se avessi tenuto quelle udienze, avrei subìto una lesione dei diritti inviolabili della persona e avrei sottoposto i cittadini alla stessa lesione”.
Forse i cittadini a quel tipo di “lesione” non avrebbero fatto nemmeno caso, ma tant’è, forte della sentenza provvisoria della Corte Europea, ha reiterato il rifiuto costringendo il tribunale alle sostituzioni “con grave turbamento dell’attività d’ufficio”.
Di fronte all’aut aut posto dallo stesso giudice (o togliete tutti i crocifissi o rimuovetemi), il Csm ha deciso di espellerlo dalla Magistratura, con questa motivazione, riferita dallo stesso vice presidente del Csm, Nicola Mancino: “Il Csm non doveva risolvere la questione della legittimità di tenere un crocifisso in un’aula giudiziaria.
Il dottor Tosti è stato giudicato per essersi rifiutato di tenere udienza fin quando in tutti i tribunali d’Italia non fossero stati rimossi i crocifissi”.
Il giudice ha accusato il colpo ma non demorde: farà ricorso in Cassazione e, se necessario, alla Corte Europea.
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