La riforma del lavoro in Italia
La riforma del lavoro, generalmente definita Jobs Act, approvata dai due rami del parlamento repubblicano, abbisognerà della trasmissione definitiva, da parte del governo, dei decreti legislativi attuativi. Sarà poi possibile procedere ad un esame di merito dei vari testi sino in fondo, verificarne le innovazioni, i limiti. Una compiuta analisi dei decreti attuativi potrà così permettere un più preciso giudizio politico per evitare il rischio di adesioni acritiche o di contrapposizioni aprioristiche.
La domanda che si pongono i nostri connazionali, in Italia e in Europa, è se il testo di riforma va nella direzione di un processo di armonizzazione delle normative europee sul lavoro. Alla cui realizzazione l’Italia può dare il suo contributo, rappresentando quindi un passo in avanti verso un sistema legislativo unificato all’interno dell’Unione e nel più vasto spazio economico europeo. Da parte nostra, parlamentari riformisti della sinistra democratica italiana, rivendichiamo il senso della battaglia svolta per migliorare il Jobs Act e renderlo sempre più aderente alla migliore tradizione riformista del centro nord dell’Unione. Parlo dei testi legislativi sul lavoro operativi in grandi paesi come la Germania, l’ Olanda o nell’insieme dei paesi scandinavi.
I risultati ottenuti: come l’aver escluso l’utilizzo del criterio dello scarso rendimento per i licenziamenti; o la possibilità di sostituire l’obbligo del reintegro con l’indennizzo, sono degli indubbi successi poiché hanno difeso la dignità del lavoro. Che è cultura, tradizione, storia, da due secoli, delle più evolute società industriali dell’occidente, ricchezza che non può essere ridotta a merce e quantificazione puramente monetaria. Anche a proposito della lunga battaglia sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, operativo dagli anni settanta del secolo scorso, e già limitato dalla legge Fornero, sarebbe stato meglio scegliere un modello di contratto a tutele crescenti che prevedesse, al termine di un triennio di prova, il diritto al reintegro in caso di licenziamenti senza giusta causa.
Nel 2017 saranno abolite la Cassa integrazione in deroga e l’indennità di mobilità, gli ammortizzatori sociali necessari in un periodo di forte crisi economica, sociale e occupazionale. Saranno sostituiti dall’introduzione dei contratti a tutele crescenti e da incentivi alla stabilizzazione dell’economia. La ripresa dell’occupazione si fonda sugli incentivi di lunga durata per evitare che la scelta teorizzata di passare dalla tutela nel posto di lavoro alla tutela nel mercato del lavoro, si traduca in una mancata tutela nei due campi.
Più in generale, occorre puntare soprattutto sulle politiche attive del lavoro, sulla ripresa degli investimenti pubblici e privati, su una politica industriale capace di selezionare obiettivi e priorità. Nello schema sul riordino delle tipologie contrattuali è presente l’apprendistato. Che per chi vive nello spazio economico europeo, è parte fondamentale della vita formativa delle giovani generazioni. Sull’apprendistato hanno già scommesso e fallito tutti i governi italiani da trent’anni a questa parte. Ho conosciuto e apprezzato, nel dopo guerra italiano, pur caratterizzato da una scuola selettiva, discriminatoria e di ceto, il funzionamento dell’avviamento professionale pubblico.
Parlamento e governo hanno agito anche su impulso dell’Unione europea. Con l’obiettivo di avvicinare l’Italia ai paesi del Centro Nord- Europa, ove l’avviamento professionale ha contribuito fortemente all’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro soprattutto quando è stato accompagnato, come nei paesi indicati, con contenuti di formazione effettivamente professionalizzanti. I motivi più rilevanti di tale fallimento, stanno nella mancata valorizzazione dell’assioma scuola-lavoro. È vero che lo schema del decreto riafferma che l’apprendistato è finalizzato alla duplice funzione, formativa e occupazionale, ma la seconda sembra ancora prevalente sulla prima. E ciò emerge dalla sua disciplina con gli incentivi alle imprese più che sulla formazione. L’ operazione per attribuire valore all’apprendistato sarebbe stata una valorizzazione dell’aspetto formativo e della scuola. Un segnale di vera svolta nelle politiche occupazionali verso un impiego di qualità e di costo adeguati. In conclusione, la via per avvicinarci all’Europa più progredita è stata intrapresa, anche se il cammino sarà ancora lungo e tortuoso.