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26 April 2024
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STORIE di Gianni Farina

Roberto Fico ed Elisabetta Liberati Casellati, i nuovi presidenti di Camera e Senato

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Tra sogno repubblicano del risorgimento napoletano e bigottismo austro – veneto pagano

Assisto, su rai tre – un poco triste, per la verità – ai rituali per l’elezione dei presidenti delle camere.

Triste e senza esagerare, per la verità.

È un po’ come il mal d’Africa. Hai vissuto per cinque anni tra il deserto ove si erge l’oasi di Kufra e i colli della Cirenaica da dove potevi osservare Derna e Cirene sognando di poter attraversare quel maledetto mare nostrum per approdare alle sponde del caro suolo italico.

Anni di gioventù vissuti nella solitudine intellettuale e umana di tanti tuoi conterranei in quella terra libica ove, pur detestati per il passato dominio coloniale, costruivi, assieme a loro, le infrastrutture,  in parte distrutte dalle vicende insurrezionali, per la moderna Libia.

Altrove, con il sessantotto, cambiava l’Europa del nostro occidente democratico: la gioventù buttava alle ortiche usi e costumi, divisioni di ceti e classi, tradizioni e storie  lette sui testi liceali, per guardare ad un altro avvenire più giusto, libero e solidale. Io ero là, l’animo oppresso dalla tempesta di sentimenti di rabbia, di oppressione e sogni infranti.

Me ne andai, un giorno, disgustato dall’indifferenza con cui il volgo assistette alla morte del piccolo uomo del Ciad crollato dal ponte della nave greca sotto il peso dei troppi sacchi di cemento necessari alla costruzione del maestoso viadotto di Vady al Kuf nell’alta Cirenaica.

Me ne andai, tra l’indifferenza dei quadri dirigenti imprenditoriali del consorzio in cui svolgevo le mansioni quotidiane, incapaci di comprendere come un tecnico italiano potesse essere disgustato, o almeno rattristato, da un tale  mesto e tristemente ripetuto evento.

Ritornato in Valtellina e, poco dopo, in Svizzera – erano i primi anni settanta – mi sorprendevo talvolta a pensare con nostalgia alle vicende di quegli anni.

Alle sere in cui scorgendo la duna violentata dalla furia del ghibli che sollevava i granelli della rossa sabbia sino a farli volare oltre l’orizzonte, li accompagnavo, sperando che uno di loro potesse trasvolare il mediterraneo, l’isola del dio vulcano, gli appennini e le valli padane per approdare lassù nel casolare ove una madre attendeva ansiosa un sia pur lieve accenno dal suo figlio adorato.

Che ti sta accadendo?

Non pensavi, d’altronde, che i dodici anni in parlamento a rappresentare la diaspora italiana nelle terre d’Europa, non abbiano, in realtà, realizzato le speranze dei milioni di connazionali che hanno vissuto il tempo del coraggio dell’ esodo da una terra povera e umiliata dalla sconfitta?

È, almeno in parte, vero. Drammaticamente vero.

Hai toccato con mano, in quel palazzo, i peggiori esempi di inettitudine e malcostume, l’ignoranza unita all’indifferenza per la storia della nostra Patria al di là delle Alpi e del suo mare,  il cinismo e la transumanza di chi tradisce il mandato ricevuto per rintanarsi in lidi più  munifici e accoglienti.

Hai, tuttavia, conosciuto, persone straordinarie da cui hai carpito il senso dello storia:  ricordi i pochi passi per accompagnare, amorevolmente, Rita Levi Montalcini, in aula perché possa assolvere al suo dovere di grande elettrice, la mano tremante di Giorgio Napolitano che si stringe alla mia, appena sceso dal più alto scanno, ove ci ha invitati ad assolvere al nostro ruolo di riformatori  del popolo. La commozione di centinaia di nostri emigrati mentre li accompagno nelle aule del tempio della democrazia repubblicana. In fondo, mi va di pensare, la storia mia, in quell’aula dagli angusti scanni, non è stata vana.

E spero, nonostante tutto, di aver lasciato, un granello di ogni ghibli di cui è ricca la storia italiana nel mondo.

Nel frattempo, i presidenti delle camere sono stati eletti. Al più alto scanno del Senato, Elisabetta Alberti Casellati, la passionaria berlusconiana nemica delle unioni civili e delle leggi per l’interruzione della gravidanza, discendente di un ceto  dalla tradizione bigotta  pagana in cui tutto è concesso sotto la cenere dell’ipocrisia della razza padrona.

Alla Camera, Roberto Fico, napoletano con quel barbuto viso un po’ così, la sintesi tra Tommaso Aniello d’Amalfi, detto Masaniello, e Carlo Pisacane dei trecento giovani e forti.

Quei due, nell’intervallo di un secolo, inseguirono il sogno repubblicano. Fallirono. Rimase la grandezza del gesto che insegue la storia.

Non tradire i tuoi avi, Masaniello Fico. E chissà che non tutto è ancora perduto nel buio sentiero del pensiero bigotto pagano.

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