Tali oscillazioni tra noto e ignoto percorrevano la mente di Costantino, ancora mentre saliva le scale del palazzo, dove avrebbe incontrato il personaggio che Costanzo gli aveva inviato, e di cui invano si sforzava di indovinare l’identità. Certamente il padre non gliene aveva comunicato il nome per sicurezza. Ma qualunque cosa potesse attendersi da lui, di certo avrebbe potuto fidarsene: il sigillo imperiale era una garanzia contro ogni tranello. Per prudenza congenita, tuttavia, mantenne un atteggiamento vigile, e si recò all’incontro pronto ad ogni eventualità: e se si fosse trattato di un agguato, che Galerio imprevedibilmente era riuscito ad imbastire per contorte vie, avrebbe saputo come vendere cara la pelle.
Certo, il fatto di trovarsi nel palazzo governatoriale, in parte lo rinfrancava. I suoi sicari, se pure fossero riusciti a sbarcare in Britannia, avrebbero tentato di agire nell’anonimato, lontano da occhi indiscreti: e a quell’ora si sarebbero già fatti vivi, senza riguardo per la sua personalità, o per la parentela che stringeva con l’augusto. Al contrario, si sarebbero accaniti su di lui, dietro precise disposizioni di Galerio, che non guardava in faccia a nessuno pur di liberarsi dell’unico avversario che ormai poteva temere. Costanzo, malato com’era, non poteva più fargli velo, con l’autorevolezza e la determinazione di un giorno; il cesare Severo, non diversamente dal nipote Massimino, era solo una pedina nelle sue mani di despota, che puntava a una politica autocrate, intendendo la tetrarchia non come condivisione del potere, ma collocamento di suoi emissari, docili funzionari al servizio della sua volontà. Solo Costantino sfuggiva a questa logica, e si profilava come l’ombra più inquietante: soprattutto dopo l’atto di diserzione, che ne indicava chiaramente l’insubordinazione. Ma se la sua eliminazione non era riuscita sul continente, per l’avvedutezza e la celerità del tribuno, ancora più improbabile lo era nel territorio di Costanzo. E quindi, con maggiore rassicurazione superò l’androne; e non ebbe timore, al blocco del centurione, di rivelare le ragioni della sua presenza.
“Sono Flavio Valerio Costantino,” si limitò comunque a dire. “E sono qui su richiesta dell’imperatore, che mi ha convocato per ricevere da una persona fidata importanti comunicazioni che mi riguardano. Annunciami pertanto al governatore, o a chiunque occupi una funzione di responsabilità.”
“Costantino!” sobbalzò il centurione, tra l’ammirazione e un’esaltazione da cui traspariva che non solo ne conosceva il nome, ma aveva già ricevuto disposizioni per il suo arrivo. E mentre una sentinella si precipitava ad annunciarlo, Costantino, non senza un vezzo di soddisfazione, soppesò che era già noto in Britannia.
“Che tu sia il benvenuto!” lo colse alle spalle una voce cordiale nel tono e nell’augurio, riscuotendolo dal sopore della vanità. “Il tuo augusto padre, ed io personalmente, ci rallegriamo dell’esito del viaggio, che a lungo ci ha tenuti in uno stato di ansia, e che ora si è felicemente concluso.”
“Sei tu, quindi, la persona del convegno?” si volse Costantino, subito dandosi a ricordare dove aveva mai potuto scorgere prima quella figura, che, pur essendo nuova, non gli risultava del tutto sconosciuta. E rassicurato dall’espressione franca, che sotto i capelli brizzolati gli restituiva la fermezza e la spontaneità dello sguardo, prese a inseguirne l’identità.
“Dalle parole di mio padre, ho dedotto che una certa conoscenza debba correre tra di noi. Tuttavia, per quanto il tuo volto non mi risulti estraneo, non riesco a ricordare dove posso averti incontrato.”
“Pur sapendo della tua memoria eccellente, non mi stupisco se non mi ravvisi, dacché le condizioni in cui si svolse il nostro primo incontro erano abbastanza dolorose, perché il bambino che eri si preoccupasse di conservarne il ricordo. Ché questo eri in effetti: un ragazzetto sveglio e cordiale, quando ti vidi la prima volta a Naissus, in circostanze così avverse che è già un bene se non serbi di me un ricordo ostile…”
“Ci siamo dunque conosciuti a Naissus?” e Costantino fece una veloce immersione negli anni, scartando i non molti volti incrociati nella solitaria campagna della sua infanzia, per schiarirsi con precisione la scena alle successive parole dell’uomo.
“Già, proprio a Naissus, dove giunsi al comando di un drappello inviato da tuo padre, che mi aveva affidato l’incarico di un’ambasciata per tua madre Elena.”
Tanto bastò perché agli occhi di Costantino si stagliasse immediatamente l’intera scena, ancora penosa ma non crudele, di lui stretto alla madre ansiosa che si torceva le mani, in mezzo a un gruppetto di persone. E ricomponeva i tratti della figura che adesso gli stava di fronte, sciogliendone i colori attuali nella barba folta e nera d’allora, e traducendo la posatezza attuale nei moti atletici del soldato che, smontato da cavallo, dopo essersi presentato, aveva comunicato con cordialità che veniva a nome del suo superiore ed amico Flavio Costanzo. E rivedeva la madre, pallida e lenta, lasciargli la mano, e avanzare preoccupata per il timore di una notizia ferale, come quella che l’aveva sconvolta tempo prima, secondo cui Costanzo era caduto nelle pianure della Pannonia. Ma il tribuno, dopo averla tranquillizzata sul peggio, aveva precisato che era venuto in vece dell’amico, impedito dall’allestimento della flotta che doveva salpare per la Britannia, a domarvi l’insurrezione di quel Carausio, contro cui il ragazzo aveva più volte studiato la strategia. E ora rivedeva con chiarezza come proprio in quel frangente l’avesse visto: lieto di fare la conoscenza con un camerata di cui il padre aveva a lungo decantato gli elogi, e al quale certamente aveva parlato di lui, sul lago di Turicum, dove stazionavano insieme.
Non sapeva ancora, l’avrebbe appreso più tardi, che Costanzo non era venuto personalmente non tanto perché occupato ad approntare la flotta per la Britannia; quanto perché la sua nomina a cesare di Massimiano lo obbligava a sposarne la figlia Teodora, e a porre la propria corte ad Augusta Treverorum. Dove solo lui avrebbe potuto seguirlo; mentre la madre avrebbe potuto esserne al massimo la concubina.
“Dunque tu sei…?” concluse, dopo aver ricostruito abbastanza la scena.
“Esattamente!” confermò l’uomo: che aveva inteso, benché Costantino non ne avesse ancora pronunciato il nome, di essere stato riconosciuto. “E ti ritrovo qui, dopo tredici anni, brillantemente proiettato verso quella gloria che i tuoi genitori tanto desideravano per te, e che fermamente speravano di vedere un giorno realizzata.”