Negli ultimi dieci anni ha saputo fare le riforme, attrarre capitali dall’estero e crescere, grazie anche agli aiuti europei
I segni della crisi, si sa, si notano in tutti i Paesi dell’eurozona, anche se a diversi livelli. In Germania di meno, in Italia di più, ad esempio, ma c’è un Paese, la Polonia, che partita da condizioni svantaggiate appena dopo l’uscita dal Patto di Varsavia con la fine dell’impero sovietico ha in tutti questi anni risalito la china ed ora è incamminato verso un futuro più roseo. Come tutti i Paesi, anche la Polonia sta attraversando un periodo di crisi, ma se si confrontano i dati di 10-15 anni fa con quelli di oggi, il progresso si misura a vista d’occhio.
C’era una volta la Polonia uscita dall’epoca sovietica: disoccupazione alle stelle, un’ossatura industriale frammentata, a terra, ampie sacche di povertà, un Paese socialmente ed economicamente a pezzi, con un Nord poverissimo e un Sud meno povero. Furono gli anni del grande esodo: centinaia di migliaia di polacchi si riversarono in Francia e in Inghilterra (anche in Italia), al punto che sindacati e lavoratori locali vivevano con l’incubo dei polacchi. I quali facevano in genere gli idraulici o altri lavori autonomi, sapevano fare il loro mestiere ed erano a buon mercato, tanto che, appunto, gli artigiani del posto se la prendevano con loro perché non solo “rubavano” il posto di lavoro ma facevano loro concorrenza al ribasso. Questo per dire che era gente seria, che si dava da fare, che aveva voglia di riscatto dopo gli anni del comunismo.
La stessa cosa è avvenuta a livello politico. Venti anni fa il Pil era un quarto di quello della Germania, le aspettative di vita erano di circa 70 anni. Dopo la caduta dell’impero sovietico c’è stata un’alternanza al governo tra destra e sinistra, la quale, comunque, rinunciò subito al comunismo per abbracciare la socialdemocrazia, il libero mercato e favorire le liberalizzazioni. Da sette anni al governo c’è il centrodestra presieduto da Donald Tusk con un’opposizione di destra capeggiata dall’ex capo di governo Kacynski, il cui fratello gemello, allora presidente della Repubblica, morì insieme al vertice istituzionale polacco in un incidente aereo avvenuto in Russia, dove si stavano recando per commemorare i soldati uccisi dai sovietici a Katyn. E’ vero che negli ultimi tempi ci sono stati problemi, ma i polacchi hanno saputo porvi rimedio, con nuove politiche e con nuovi obiettivi, ma soprattutto hanno fatto quelle riforme che hanno permesso loro di diventare un Paese che attira gli investimenti stranieri.
Quest’anno il Pil aumenterà soltanto dell’1,1%, poco, ma rappresenta più della media europea. Se all’inizio del secolo i polacchi emigravano in massa, ora sono tutti rientrati. E’ vero, le condizioni di svantaggio erano grandi e sacche di miseria, di disoccupazione permangono (i disoccupati sono il 13% della popolazione e gli occupati appena il 66% contro una media europea del 72%), ma non sfugge agli investitori stranieri che il Paese offre garanzie istituzionali e sociali, con un costo del lavoro che è un quarto di quello che abbiamo in Italia. Se qualcuno si stupisce del fatto che l’appalto per i nuovi autobus milanesi sia stato vinto da un’azienda polacca, ebbene il suo stupore non ha ragione di essere, perché con le riforme, con la crescita economica, questo miracolo è stato possibile. Come si sa, l’Elettrolux vuole delocalizzare dal Veneto alla Polonia. Lasciamo stare le condizioni poste per restare in Italia, l’argomento è serio, però quello che è importante è che dall’Italia gl’investitori se ne vanno, in Polonia ci vogliono andare, evidentemente perché conviene e perché in quel Paese il lavoro non subisce le condizioni capestro come avviene in Italia. In più, la Polonia ha saputo programmare, progettare e utilizzare i miliardi messi a disposizione dell’Unione europea per costruire infrastrutture moderne. Nel periodo 2014-2020 riceverà dall’Ue ben 142 miliardi di fondi di coesione (progetti di infrastrutture e ammodernamenti). Da noi, si sa, addirittura si è rinunciato al finanziamento per la costruzione del Ponte sullo Stretto, ad un’opera utile e necessaria e ai posti di lavoro che essa avrebbe creato. In nome di che? In nome dell’ideologia e di interessi politico-ambientali.
La Polonia non è l’America, ovviamente, ma solo un Paese che ha speso bene in modo particolare gli ultimi dieci anni, cosa che non è stato fatto in Italia.