Le rivolte dei neri americani: un grido accorato per la pari dignità
Nel mentre gli americani preparano la festa del Thanksgiving (“Giorno del ringraziamento”) che riunisce attorno al tradizionale tacchino l’ultimo giovedì di novembre, famiglie e amici di tutte le origini e confessioni religiose, l’America nera è, per l’ennesima volta, in collera.
Martedì sera 25 novembre, migliaia di manifestanti hanno sfilato in centinaia di città per protestare contro la decisione del tribunale di non condannare un poliziotto bianco che il 9 agosto scorso uccise a Ferguson un giovane negro, Michael Brown, di 18 anni. Soprattutto a Ferguson la collera è esplosa violentemente culminando con incendi e saccheggi di negozi e costringendo le autorità a far intervenire la guardia nazionale, Il comportamento del procuratore Robert McCulloch, che, dall’inizio della tragica vicenda, ha mostrato un comportamento di parte a protezione della versione della polizia, è stato la miccia delle violenze e della rivolta della comunità nera. Come ha detto lo stesso presidente Obama, le questioni sollevate dal pronunciamento del procuratore pubblico in favore della tesi poliziesca, sono legittime.
Il profondo sospetto che esiste tra gli organi di sicurezza e la comunità nera, è uno dei problemi più gravi da risolvere per gli Stati Uniti. Gli slogans lanciati dai manifestanti martedì: “ Le vite nere contano!”,” le mani in alto, non sparate!”,raccontano lucidamente ciò che, troppo sovente, è la realtà quotidiana dei giovani neri, a priori sospettati di essere dei delinquenti. Un’inchiesta recente di un media indipendente “ProPublica” ha mostrato che negli Stati Uniti un nero ha venti volte più la mala sorte di essere ucciso da una raffica della polizia che un giovane bianco. È il dramma di tutte le madri di famiglia nere quando il loro figlio non è ancora rientrato a casa. Una di esse, madre afro americana, ha gridato tutto il suo sdegno alla televisione: i verdetti contro i giovani neri mi indignano e mi feriscono profondamente, come nera e come madre.
Primo presidente nero americano, Barack Obama, non passerà alla storia come colui che più ha fatto per far avanzare la causa della comunità afro-americana. Senza dimenticare, tuttavia, la straordinaria decisione di dare la cittadinanza a cinque milioni di immigrati dimoranti da tempo negli Stati Uniti. Il congresso uscito dalle urne all’inizio di novembre, dal netto profilo conservatore, gli sarà da forte ostacolo. Esiste, nel fondo, una cultura poliziesca e giudiziaria, xenofoba e razzista, che penalizza, drammaticamente e ingiustamente, le minoranze, in testa la nera. Un problema, purtroppo, di cui gli Stati Uniti non hanno il monopolio. Ovunque, anche in Europa, assistiamo al crescere di movimenti e partiti che si richiamo alla purezza etnica, nel nome, spesso ipocrita, della sicurezza. Trovano spazio tra la massa di disoccupati in un periodo tra i più duri del dopoguerra. Milioni di uomini e di donne, disperati e senza speranza, bussano alle nostre porte in cerca di un ultimo rifugio. L’Europa, attanagliata dalla crisi: economica, sociale, di identità, persino, no risponde se non per la disputa sulle eventuali responsabilità dell’uno o dell’altro.
L’Italia, si è distinta per il meglio. “Mare nostrum”, e nonostante le grida odiose dei Salvini, prima secessionisti, sempre xenofobi, è stato un impegno di straordinaria umanità. Manca, tuttavia, una politica dell’Unione che sappia raccogliere e vincere la sfida della solidarietà e della convivenza. Il 22 novembre ero a Ginevra all’inaugurazione del monumento in onore dell’emigrazione italiana. Una grande folla di popolo, italiano e svizzero, venuto a celebrare l’epopea italiana nella terra di Calvino. Venuti quassù in cerca di lavoro, hanno portato con se i cuori e le passioni della nostra gente. Si sono fatti apprezzare e sono, oggi, patrimonio incontrovertibile della repubblica ginevrina. Ed è per questo che, a rendere omaggio al monumento del lavoro italiano, erano presenti, oltre alle autorità italiane, i massimi esponenti della politica ginevrina. Oggi, la sfida dell’integrazione si svolge dentro le nostre città. Di una Italia alla affannosa ricerca di una nuova via. La Storia della nostra emigrazione può servire a rischiarare il cammino.
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