L’atmosfera sembra rasserenata, ma il nodo Pio XII resta insoluto nei rapporti tra Comunità ebraica – che vuole riflettere sulle parole dette domenica scorsa – e Papa Benedetto XVI.
Alla fine di una giornata intensa – a 24 anni dalla prima visita di un pontefice nel tempio della più antica comunità della diaspora – il dialogo tra le due fedi sembra rinvigorito ed entrambi le parti confermano la validità di un incontro storico che, nelle passate settimane, sembrava essersi fatto incerto dopo la decisione del Papa di riconoscere le “eroiche virtù” di Pio XII e che aveva diviso la stessa comunità, vedi l’opposizione dell’ex rabbino di Milano, Giuseppe Laras.
In una sinagoga affollatissima (tra gli altri, Gianni Letta per il governo e il presidente della Camera, Gianfranco Fini), alla presenza anche di alcuni esponenti dell’Islam, accolto da una standing ovation, Benedetto XVI ha fatto il suo ingresso, su un lungo tappeto giallo, dopo aver sostato davanti alla lapide che ricorda i deportati ebrei da Roma del 16 ottobre del 1943 (sotto il pontificato di Papa Pacelli) e quella in memoria di Stefano Gay Tachè, un ragazzino ucciso da terroristi palestinesi davanti la sinagoga. Non prima di aver salutato il rabbino emerito di Roma, Elio Toaff, che accolse il suo predecessore Giovanni Paolo II.
Il suo richiamo all’antisemitismo è stato netto, come il suo saluto ai deportati seduti in prima fila: “Possano le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo essere sanate per sempre” ha detto ricordando come la Chiesa non abbia mancato di deplorare le “mancanze dei suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo”.
Ma poi, citando la deportazione degli ebrei di Roma e “l’orrendo strazio” con cui vennero uccisi ad Auschwitz, ha osservato che “la Sede Apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta”. Un rimando al forte grido di dolore di un emozionato Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana, il cui padre fu salvato dalle suore di Santa Marta a Firenze, che invece aveva poco prima rimarcato: “Il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah, duole ancora come un atto mancato. Forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso un segnale”.
E poco dopo il rabbino capo Riccardo Di Segni, pur non pronunciando direttamente il nome di Papa Pacelli, aveva sottolineato: “Il silenzio di Dio o la nostra incapacità di sentire la sua voce davanti ai mali del mondo, sono un mistero imperscrutabile. Ma il silenzio dell’uomo è su un piano diverso, ci interroga, ci sfida e non sfugge al giudizio”. Insomma, su questo punto il confronto è tutto ancora da fare o forse chiuso, anche se gli esponenti della Comunità, ma anche quelli del governo israeliano, hanno chiesto con forza l’apertura degli archivi vaticani per arrivare ad un giudizio “condiviso” su papa Pacelli.
Ciò che invece sembra acquisito sono la comunanza e il dialogo: Benedetto XVI ha ribadito nel suo discorso le “radici comuni” in nome della Bibbia; ha ricordato l’eticità per l’umanità dei 10 comandamenti e la necessità di “fare passi insieme pur tra le differenze”. E così anche lo stesso Di Segni: “Un saluto grato di benvenuto al Papa”, ha detto in apertura citando l’urgenza di mettere in primo piano “obiettivi comuni” e il fatto che l’amicizia non può escludere altre fedi della discendenza abramitica.
“Ebrei, Cristiani e Musulmani – ha detto – sono chiamati senza esclusioni a questa responsabilità di pace.
L’immagine di rispetto e di amicizia che emana da questo incontro deve essere un esempio per tutti coloro che ci osservano”. Un giudizio confermato, con qualche cautela, al termine dell’incontro, in una conferenza stampa del rabbino capo e del presidente Pacifici: il risultato della visita del Papa in sinagoga – ha detto il primo – è “decisamente positivo, ma dovremo rifletterci ancora. Penso – ha aggiunto comunque – che il Papa, nel suo intervento abbia detto cose molto importanti e contribuito a rasserenare l’atmosfera”. Più articolato il giudizio degli ebrei fuori del Tempio: alcuni, pur apprezzando il senso della visita, hanno rimarcato la mancanza di ogni accenno a Pio XII da parte del Papa e la sincerità di Ratzinger.
Del resto la visita si è svolta nei giorni che nella tradizione ebraica romana sono chiamati ‘Moed di piombo’, ovvero quelli – del gennaio 1793 – quando una folla di rivoltosi tentò di incendiare il ghetto: la folla fu ferma soltanto da una provvidenziale tempesta.
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