Un Bossi in difficoltà incorona Maroni leader della nuova Lega, mentre Udc e Pdl vanno alla ricerca di una nuova prospettiva
A dominare la scorsa settimana sono le vicende giudiziarie di Lusi e di Bossi e il dibattito politico in corso nell’Udc e nel Pdl. Di solito non parliamo delle vicende giudiziarie dei partiti e dei singoli personaggi, sia perché ne dovremmo parlare sempre, sia perché in genere si tratta di notizie che vengono confermate, smentite, aggiustate e dimenticate. Insomma, la politica non si fa con le vicende giudiziarie, spesso in Italia viste più come lotta politica che come reati veri e propri. Un esempio tra gli ultimi? Il capo dell’Antimafia, Grasso, in una dichiarazione dice che bisognerebbe “fare un monumento a Berlusconi” per aver approvato la legge antimafia che permette di sequestrare i beni dei mafiosi, esattamente come auspicavano Falcone e Borsellino venti anni fa, prima di essere uccisi. Non l’avesse mai detto: sono insorti i pubblici ministeri appartenenti a magistratura democratica, tacciandolo di aver dato una mano all’ex premier. Se qualcuno aveva qualche dubbio sull’uso della giustizia come lotta politica, questa presa di posizione glieli chiarisce in maniera lampante.
Dicevamo di Bossi e di Lusi. Il primo ha ammesso che sì, “autorizzai io alcune spese” riferendosi alle “paghette” ai suoi figli con i soldi della Lega. I giornali si sono scandalizzati di queste situazioni, a giusta ragione per dire la verità, ma bisognerebbe dire che così avviene in tutti i partiti e chi dice di no, mente sapendo di mentire. I partiti non sono tenuti a rendicontare ad un’autorità di controllo, si tratta di bilanci falsi, i soldi vengono usati – questo lo sanno tutti – per pagare cose lecite e non lecite, ma nessuno dice nulla, salvo poi gridare allo scandalo quando si tratta di colpire la Lega. Un po’ gli sta bene a Bossi, perché per anni non ha fatto altro che scagliarsi contro “Roma ladrona” (e una qualche ragione ce l’aveva), ma spesso dietro i moralisti si nascondono i farabutti.
In ogni caso, sono state ingigantite le vicende interne della Lega e soffocate quelle riguardanti il senatore Lusi, riducendole a vicende del tutto personali, mentre a giudicare dalle notizie da lui fornite non sembra proprio così o per lo meno non solo così. Chiuso questo tema, il dato politico riguardante la Lega è che Umberto Bossi si è rassegnato a passare la mano a Roberto Maroni con una dichiarazione che non ammette ripensamenti. Anzi, probabilmente dovrà rassegnarsi anche a vedersi espellere il figlio Renzo o tutti i figli, che sono la causa dei suoi guai e di quelli della Lega. La quale è uscita dimezzata dalle elezioni amministrative parziali, ma era nell’ordine delle cose pagare un prezzo salato, dopo la bufera giudiziaria. A luglio toccherà a Maroni risalire la china elettorale con un programma politico nuovo e credibile e più in là, quando le circostanze lo imporranno, fare le alleanze opportune. Dicevamo del dibattito politico all’interno dell’Udc e del Pdl. In una lettera al Corriere della Sera, Pierferdinando Casini, rispondendo ad Angelo Panebianco che aveva sentenziato la fine delle “mani libere” dell’Udc, afferma che ora più che mai vuole continuare ad avere le mani libere. Abbellendo il suo discorso con parole ed espressioni tanto generiche quanto scontate, come ad esempio “il bene del Paese”, il “linguaggio della verità”, il “senso di responsabilità”, e via del genere, Casini dice che non vuole fare la ruota di scorta della foto di Vasto, cioè di Bersani, Di Pietro e Nichi Vendola, ma non vuole nemmeno rilanciare la riedizione della Casa delle libertà senza “alcuna autocritica sul passato e sull’alleanza con la Lega”. “In politica”, continua Casini, “ci vuole coerenza e serietà. Meglio avere le mani libere seguendo la propria coscienza che le mani obbligate da patti siglati contro il futuro del Paese”. Se la logica non è un’opinione, Casini non sa ancora cosa fare. Infatti, fallito, come lui stesso ha riconosciuto, il terzo polo, la foto di Vasto non gli sta bene, la Confederazione dei moderati nemmeno, non gli resta che temporeggiare.
Nel Pdl, in attesa della “novità straordinaria” che sarà una rivoluzione per la politica italiana (meglio dire: sarebbe), novità che sarà lanciata da Alfano direttamente, par di capire dopo le elezioni amministrative, quindi da adesso a non oltre la metà di giugno, si discute se fare del Pdl un partito sfrondato dall’ala ex An per un avvicinamento credibile con Casini e l’area moderata, confederandosi con la formazione che dovrebbe raccogliere, appunto, gli ex An con eventuali adesioni da parte di Fli, oppure ricalibrare il programma e la rappresentanza degli italiani alla luce di quanto sta avvenendo, e cioè alla luce di una generale “incavolatura” per le troppe tasse, per la disoccupazione dilagante, per la governance europea capace solo di rigore e di parametri, per la scarsa cultura liberale che contraddistingue il panorama partitico italiano, per l’economia bloccata dalla recessione, per l’involuzione che caratterizza la pubblica amministrazione con la cancellazione di fatto della riforma Brunetta. Ciò malgrado, il Pdl alzerà la voce, ma non farà cadere il governo Monti.
Par di capire che Berlusconi spinga Alfano verso un partito che cavalchi l’antipolitica e che miri ad un programma liberale, mai in realtà realizzato in Italia.