Viaggio di John Kerry in nove tappe in Europa e in Medio Oriente in preparazione della visita di Barack Obama in Israele
Libia nel caos ed Egitto in conflitto crescente tra il popolo laico e il presidente Morsi che vuole le elezioni parlamentari in aprile ma alle sue condizioni, cioè a condizione che favoriscano il partito islamico. La Corte Suprema le ha annullate, creando di fatto uno stato di tensione che si riflette nel popolo, sceso in piazza e tenuto a bada dall’esercito. Solo la Tunisia sembra aver imboccato la strada giusta, quella della pacificazione. Il partito islamico al governo, Ennahda, è dovuto scendere a patti con le opposizioni e accettare la formazione di un governo che comprenda tutti i partiti e personalità indipendenti. Vedremo se il tentativo porterà a qualcosa di buono o se si ritornerà ai contrasti di prima. Intanto, vogliamo seguire il viaggio del nuovo Segretario di Stato americano, John Kerry, ex candidato alla presidenza degli Usa e successore, nell’attuale incarico, di Hillary Clinton.
Nella settima delle nove tappe del suo tour in Europa e in Medio Oriente, in preparazione anche della visita che il presidente Obama farà in Israele, John Kerry si è fermato in Arabia Saudita, dove ha fatto il punto della situazione con il suo omologo Saud al-Faisal. Le posizioni dei due ministri degli Esteri sono convergenti sull’Iran, sulle trattative sul tema dei siti nucleari e sull’accesso alle verifiche svolte dall’Aiea, l’Agenzia internazionale sull’energia atomica. L’Aiea, in riunione a Vienna, chiede insistentemente ma senza ottenere risposta, che gli ispettori Onu siano ammessi a controllare il sito nucleare di Parchin, dove si sospettano attività di arriccimento dell’uranio.
Kerry ha usato toni chiari ma ultimativi, ha avvertito Teheran che i tempi della trattativa diplomatica stanno per scadere, che la trattativa stessa “non può rimanere aperta all’infinito”. Kerry ha precisato: “C’è ancora tempo per risolvere la questione col negoziato, ma solo se l’Iran dimostra di affrontare con serietà i colloqui col gruppo dei 5+1”. Il gruppo dei 5+1 sono i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu, (Usa, Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia) più la Germania. Attualmente i colloqui si stanno svolgendo in Kazakistan ma è difficile trovare gli obiettivi comuni. Più che altro, i temi in discussione riguardano argomenti secondari sui quali l’Iran chiede sempre ulteriori approfondimenti, glissando sul merito della questione e sulle verifiche sul posto. Insomma, è la solita tattica per guadagnare tempo, per lavorare alacremente all’arricchimento dell’uranio e all’assemblaggio delle armi nucleari. Ricordiamo che secondo i servizi segreti americani e israeliani il termine ultimo per bloccare le armi nucleari è il mese di giugno prossimo, dopo questa data non sarà più possibile fermare i lavori in quanto ciò che dovrà essere stato fatto sarà già stato preparato.
Kerry ha aggiunto: “Le trattative tuttavia non devono diventare uno strumento per rimandare la soluzione e rendere tutto più complicato”. Insomma, Kerry è andato al sodo senza mezzi termini. Ha detto che gli Usa non consentiranno mai all’Iran di dotarsi delle armi nucleari, anche a costo di ricorrere ad un’opzione militare. Gli ha fatto eco il ministro degli Esteri saudita: “Speriamo che il negoziato porti a risolvere il problema piuttosto che a contenerlo, le lancette continuano a girare e il dialogo non può andare avanti in eterno”. Dal canto suo, il vice presidente Usa, Joe Biden, ha rafforzato le dichiarazioni di Kerry quando in una pubblica conferenza ha precisato che gli Usa non vogliono nessuna guerra, non minacciano l’Iran ma che “il programma nucleare iraniano mette in pericolo Israele e il mondo e che questo non sarà tollerato”. Poi, Biden ha lanciato un messaggio in codice: “Il profondo impegno americano per la sicurezza d’Israele non cambierà”. Il messaggio è rivolto ad Israele, per dire che si farà di tutto per trovare una soluzione diplomatica, ma che alla fine, se proprio non c’è altra soluzione, resterà in piedi quella militare. Il premier israeliano Netanyhau ha rilanciato la sua proposta fatta a settembre all’Assemblea delle Nazioni Unite: “E’ necessaria una minaccia militare credibile per evitare che la linea rossa venga superata”.
In Medio Oriente non c’è solo la questione Iran, c’è anche quella palestinese. Obama vorrebbe che nel 2014 si arrivasse allo Stato della Palestina attraverso non trattative bilaterali sempre inconcludenti, ma attraverso il ritiro dei coloni israeliani dai territori occupati in Cisgiordania, che è la spina nel fianco di qualsiasi trattativa bilaterale.