“Mi passi il sale?” può essere un modo per interrompere una conversazione indesiderata o imbarazzante. O può indicare un’abitudine da migliorare.
La volta scorsa abbiamo parlato di quanto sia importante porsi degli obiettivi precisi, per riuscire a convertire le buone intenzioni in azioni virtuose e positive per la propria salute. Oggi ci occupiamo dell’abitudine di salare troppo.
Iniziamo dalle buone notizie: in Italia, il consumo di sale è diminuito, negli ultimi dieci anni, del 12% negli uomini e nel 13% nelle donne (che già in partenza erano più virtuose). Lo rivela uno studio realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” che ha paragonato i risultati sull’escrezione giornaliera di cloruro di sodio tra il 2008 e il 2012 con quelli raccolti nel 2018 e 2019.
Un risultato di cui essere fieri, considerando che l’eccesso di sale danneggia reni, cuore e vasi sanguigni ed è correlato con un aumentato rischio di insorgenza non solo di malattie cardiovascolari, ma anche di ictus cerebrale, patologie degenerative dei reni e del sistema digerente e osteoporosi.
“Eh, ma anche il sale serve”, direte voi. E a ragione, perché la presenza di cloruro di sodio è necessaria, per esempio, per il mantenimento dei fluidi e del turgore cellulare. Però, la quantità necessaria per garantire le funzioni cellulari e metaboliche è di 500 mg al giorno, un decimo del consumo medio raccomandato dall’OMS e un ventesimo di quanto, ancora, ne consuma la popolazione media in Italia e in Svizzera ogni giorno.
Come introdurre e soprattutto raggiungere, dunque, l’obiettivo mirato di diminuire il consumo di sale?
Partiamo dagli alimenti che ne contengono quantità eccessive: alimenti in scatola, affettati, maionese, dadi, patatine, cracker ed altri snack salati, pizza sono i cibi che per primi saltano all’occhio. Possiamo decidere di limitare il loro consumo a un pasto a settimana (di tutta la categoria, non di ciascun cibo, ovviamente).
Allontanandoci dalla categoria “cibi industriali” per eccellenza, troviamo i formaggi e (incredibile ma vero) il pane. Qui possiamo pensare a un consumo bi-settimanale. Durante gli altri giorni, possiamo sostituire il pane a pranzo con riso integrale, quinoa, legumi e a cena con patate dolci o normali (con poco sale, ovviamente)
E poi? Possiamo iniziare ad accostare cibi di per sé salati (tonno, ragù) a cibi non salati (pasta cotta senza aggiungere sale all’acqua) ed aumentare il consumo di spezie fresche o secche per dare sapore ai nostri piatti.
Anche il consumo di sale iodato è consigliabile, per limitare l’introito di cloruro di sodio con l’alimentazione.
Gli effetti immediati della riduzione di questi cibi saranno una diminuzione del senso di sete (sapete quella che vi secca la gola quando vi svegliate al mattino o quella che vi fa bere come dei cammelli dopo aver mangiato la pizza?), un minor senso di gonfiore; la riduzione dei “buchini” della cellulite”, fino a una sensibile perdita di peso.
Quelli a lungo termine sono la riduzione della pressione arteriosa e un miglioramento della funzione renale, con gioia vostra e del vostro medico, che magari aspetta ancora un po’ a darvi la pastiglia per la pressione.
Non trascuriamo, poi, gli effetti sul senso del gusto: disabituandoci ai sapori “urlati”, saremo più capaci di apprezzare le mille sfumature di sapore di frutta e verdura stagionali e dei piatti semplici, tipici della nostra cucina e della tradizione mediterranea.
Dr. Tatiana Gaudimonte
consulente nutrizionale
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- EpiCentro – Istituto Superiore di Sanità. Progetto CUORE: progressi nella riduzione del consumo di sale nella popolazione italiana adulta
- WHO – Sodium intake for adults and children – www.who.org