Il volo verso la capitale non è stato dei migliori. Già alla partenza, nel mezzo di un grigiore mattutino, preannuncio anticipato della prossima stagione invernale, l’Airbus della Swiss Air traballa nel mentre sale verso il cielo coperto da nubi nere portate dal vento proveniente da nord.
Sono sempre, per me, minuti di tensione e qualche paura e sino a quando il drin della cabina di comando annuncia il raggiungimento della quota unito al primo sorso dell’agognato “caffè con annesso croissant”. Nell’attraversata delle alpi cerco sempre un posto a sinistra, che mi permette, con un po’ di fortuna, di scorgere da lassù la mia Valtellina. Talvolta, se il mattino è indorato dai raggi del sole, ne scorgo i villaggi, le chiese, i campanili con attorno le case del volgo quasi a rendere omaggio alla casa di Dio.
Per me, che cristiano io sono un po’ da lontano, è pur sempre un mistero comprendere la magia dell’eterno mistero. Maledetta mattina con quella nuvolaglia a coprire la valle che occulta ai miei occhi la terra tra il torrente Livrio e la valle Canale su cui ho vissuto l’età dell’imberbe fanciullo. Vabbè, io mi dico. Sarà per la prossima volta. Già Roma è vicina. E tutto è possibile dire fuorché abbinare le giornate romane a un lento, noioso trantran.
Se tutto andrà bene sarò puntuale all’appuntamento con la navetta che ti porta alla Termini, e poi, con il mitico bus 71, verso palazzo Chigi e il parlamento. Ahi! Ahi!, le giornate romane. Percorre, il 71 , la via Cavour, costeggiando la piazza Santa Maria Maggiore dominata dall’imponente basilica e si appresta a svoltare verso via Panisperna, un tempo ricca di laboratori di ricerca in cui operarono i figli migliori d’Italia, fra cui Pontecorvo e il Fermi immortale, prima di involarsi, ognuno di loro, verso lidi lontani.
Già la manovra d’accesso, dato lo spazio ristretto, richiede una certa destrezza. Per l’occasione, è impedita da un mezzo privato parcheggiato sul lato. Minuti di attesa – sino a quasi mezz’ora – tra improperi, bestemmie, insulti a colpevoli e non, in testa i politici di Roma e non solo. Appare il proprietario del mezzo. Qualche grida. Non un cenno, una scusa. Accende e sparisce. Si riparte e tutto sarà come prima. Questa è la vita a Roma.
Un misto tra il tutto è proibito, e quindi, permesso. Un’illegale legalità di massa divenuta cultura. In cui tutti si arrangiano, nel corso dei giorni e degli anni, nel segno dell’Urbe, l’eterna. Povero Marino, l’Ignazio chiamato dal popolo sovrano a reggere le sorti della città dei cesari e dei papi. Cercò, il poverello, l’imprudente coraggio di operare la svolta chiamando a reggere le migliaia di vigili – assenti! – urbani un esterno al loro comando supremo. Mala sorte gli colse il 31 dicembre dell’anno che fu in cui quasi tutti, colpiti dal morbo “post natal silvestrino”, si posero in pausa caffè- che dico!- cotechino e lenticchie con annesso pro secco o champagne. Venne poi, sul più bello, il Buzzi con le coop a sostegno dei migranti approdati alla città dei balocchi. Sono forse un problema, i reietti arrivati quassù dall’inferno del Sahara? Macché! Sono occasione e ricchezza su cui costruire il malaffare per gli esclusivi e succosi guadagni. Durava nel tempo il mercimonio politico mafioso.
Ed è lui, l’Ignazio Marino, a reggere il colpo tra chi lo accusa di ignavia, o peggio, di essere un imbelle correo. È il destino di chi sta lontano, per non esserne ammorbato, da certa gentaglia usa da tempo al saccheggio della “res publica”, del bene comune. Caro Ignazio, ma chi te l’ha fatta fare di rincorrere il papa, da novello Colombo?
Non stavi bene, quaggiù, tra il campidoglio e i colli a reggere le sorti dell’Urbe romana?
E così tra l’assessore ai trasporti che bestemmia in diretta dopo aver confessato che lui nulla sa di quel bus che da Termini porta a San Pietro e qualche cena di troppo con i parenti a spese del comune – chissà?, al seguito di una giornata di duro lavoro – ti hanno costretto alla resa. Ti sono tutti contro, povero Marino. Persino quel grande giornale che racconta le furbate del caffè addebitate al nosocomio in cui operavi, un tempo lontano, in quella città degli States. Maledetti maramaldi!
Hai fatto degli errori, caro sindaco. E qualche buona idea, tipo rendere il Colosseo e i fori imperiali luoghi di quiete e ammirazione del genio degli antichi romani, ha cozzato contro gli interessi costituiti della razza padrona.
Auguri a te, Ignazio Marino.
Ci hai almeno provato.