Da bambini soldato ad elettricisti. Al ritorno alla normalità, ad una vita senza più il rumore dei proiettili, del sangue, delle ferite, degli orrori della guerra. Hassan, Ayub, Mustafa, ancora minorenni, sono fuggiti dopo aver combattuto a fianco del gruppo armato che li aveva arruolati. Hanno corso per 30 km, senza scarpe, prima di essere trovati, identificati, portati al centro Intersos dove hanno potuto ricostruire la propria vita.
“In Somalia sono oltre 2.000, secondo l’ultimo rapporto annuale del segretariato generale Onu, i bambini strappati alle loro famiglie e reclutati dai gruppi armati nel corso del 2017”, sottolinea all’Adnkronos Giovanni Visone, responsabile della comunicazione di Intersos. “L’anno scorso abbiamo assistito 106 ex bambini soldato in Somalia”, aggiunge Visone. La Ong opera proprio lì dove la situazione è più delicata, nelle regioni meridionali, in parte controllate dai militanti di al-Shabaab. Proprio loro tra i cacciatori più aggressivi di bambini.
Li arruolano non solo per combattere ma anche per utilizzarli come spie, messaggeri, cuochi, sguatteri, assistenti di campo. Ragazzi e ragazze, non fa differenza. “Il fenomeno è complesso: non ci sono solo minori che imbracciando un’arma vivono il conflitto, molti diventano, proprio perché poco identificabili, spie o portatori di messaggi, altri hanno ruoli di supporto logistico alla truppa. Le ragazze sono circa il 40%”, dice Visone.
“Quanto accade intorno a noi – evidenzia il responsabile della comunicazione di Intersos la scorsa settimana – bisogna ricordarlo ogni giorno e oggi, che ricorre la Giornata Internazionale contro l’uso dei bambini soldato, in particolar modo: nei tanti conflitti in atto vengono commessi gravi violazioni dei diritti umani, il più atroce è il coinvolgimento dei bambini”.
Una volta che un minore soldato viene identificato dalle forze armate somale, entro 72 ore deve essere segnalato alle Nazioni Unite o a un’agenzia umanitaria designata. “Il programma di recupero per gli ex bambini soldato è infatti concordato dal governo somalo con le Nazioni Unite – ricorda Visone -. In una prima fase, questi ragazzi (tra i 14 e i 17 anni), assistiti da psicologi e medici, necessitano soprattutto di riappropriarsi di una identità, di tornare a una vita normale cominciando dalle piccole cose”. In una seconda fase, i minori vengono ricongiunti con la famiglia di origine o affidati a tutori. I più grandi sono avviati a una attività formativa di lavoro, se invece hanno meno di 15 anni, si favorisce il loro reinserimento nel sistema scolastico, sia attraverso corsi di alfabetizzazione e acquisizione di competenze di base, sia supportando economicamente chi si prenderà cura di loro. “Il recupero per i bambini soldato è lungo, ma possibile”, conclude Visone.
Sibilla Bertollini
Adnkronos