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21 November 2024
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Invidia

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di Paolo Tebaldi

La parola invidia proviene dal latino „in videre“: guardare contro, con acredine, malevolenza. Si tratta di un sentimento di rancore, ostilità per il benessere, la felicità altrui e può trasformarsi in cattiveria e voglia di arrecare danno a coloro che vengono ritenuti più fortunati.
«In psicologia è’il desiderio frustrato di ciò che non si è potuto raggiungere per difficoltà ed ostacoli non facilmente superabili e che altri, nello stesso ambiente e in condizioni apparentemente analoghe, ha vinto o vince con manifesto successo» (Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Utet).
Leggendo la Bibbia l’invidia assume un ruolo importante in seguito al fratricidio di Caino incapace di accettare l’amore di Dio per Abele. Quindi secondo la dottrina cristiana è uno dei sette peccati capitali. I filosofi della Grecia ellenica ne sottolineavano gli aspetti nocivi e l’inutilità. Anche nella cultura degli antichi romani, soprattutto con Cicerone e Tito Livo, essa è condannata per il suo carattere distruttivo e rovinoso.
L’invidia è dunque considerata, generalmente, un male pericoloso in quanto l’individio che ne è succube, anziché cercare di migliorare la propria posizione, vorrebbe mortificare, danneggiare chi è più bravo di lui nella considerazione della gente e sulla scala dei valori sociali. C’è tuttavia anche un risvolto positivo quando, al contrario, questo stato d’animo può tramutarsi in un atteggiamento di ammirazione e pertanto nell’aspirazione, da parte della persona che si sente inferiore, a confrontarsi, competere con l’intelligenza e le qualità altrui. Un significato, perciò, più blando è, come afferma il Devoto-Oli, l’intenzione di «poter godere dello stesso bene che altri possiedono, vivo ed accentuato apprezzamento».
Nel Dizionario dei proverbi italiani di Carlo Capucci predomina, invece, una rappresentazione molto critica dell’invidia: «Nell’iconografia viene raffigurata come una donna vecchia con gli abiti color ruggine (in quanto corrode il ferro su cui sta); è pallida, magra, scarmigliata, con serpi per capelli (i pensieri malevoli e velenosi), lo sguardo bieco (che getta il malocchio); ha una serpe arrotolata sul petto che le morde la mammella sinistra (avvelena il cuore), e un cane ai piedi, l’animale che guarda invidioso». Conseguenti sono alcune massime riportate nel citato vocabolario; «L’invidia rode se stessa», «L’invidioso è il carnefice di se stesso», «Più frutti ha l’albero, più vermi vi salgono».
Concludiamo con un riferimento alla psicoanalsi. Il suo padre fondatore, Sigmund Freud, elaborò, con una famosa espressione, la teoria secondo la quale «il complesso di evirazione della bambina è messo in moto dalla vista dell’altro genitale. Essa nota subito la differenza (…). Si sente gravemente danneggiata, dichiara spesso che anche lei „vorrebbe avere qualcosa di simile“ e cade quindi in balia dell’invidia del pene, che lascerà tracce incancellabili nel suo sviluppo e nella formazione del suo carattere». E’ una concezione da tempo fortemente contestata da diversi studiosi e neuropsichiatri. Ma senza entrare in un dibattito troppo accademico e per specialisti, basta guardare come va il mondo oggi. Non sono le fanciulle ad essere piene di astio verso i maschietti, ma è vero il contrario: i ragazzi, per lo più, provano timore, impaccio, gelosia per la spigliatezza, il coraggio, la libertà delle compagne. Certo, poi, nell’età della ragione le donne hanno mille motivi di recriminare e provare livore per essere trattate, nel lavoro, nella politica e nelle istituzioni, come creature subalterne agli uomini. Ma, come abbiamo ricordato più volte in questa rubrica, i tumultuosi processi di emancipazione femminile giungeranno, sia pure tra difficoltà e contraddizioni, a capovolgere supremazie, privilegi sessisti, giochi e lotte di potere. L’invidia, non sarà del pene, ma semmai dell’intraprendenza, dell’intelligenza e delle capacità organizzative e di comando delle rappresentanti dell’altra metà del cielo.

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