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23 April 2024
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STORIE di Gianni Farina

Italia e Venezuela: un legame antico per un rinnovato e solidale rapporto umano

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L’ultimo tozzo di pane nero; il villaggio in lontananza che brucia; una masnada di camice nere che scendono, per l’ultima volta, il sentiero che porta verso la stazione vicina; Achille Compagnoni, il contadino alpinista di Santa Caterina Valfurva che violò la vetta del K2 riscaldando i cuori dei suoi poveri valligiani nell’ Italia umiliata e sconfitta del dopoguerra; Il Polesine, la terra dei miseri braccianti, devastata dall’irruenza del fiume Po e dalla vendetta del Dio mare proteso a riconquistare il dominio della terra antica; Marcinelle, il Friuli, il Vajont, Mattmark e cos’altro ancora, per raccontare la leggenda della stirpe italica nel corso del ventesimo secolo.
Penso a tutto ciò uscendo dal palazzo di Montecitorio dopo il voto che ha affossato ogni tentativo di accordo tra le forze politiche per approvare una legge elettorale condivisa in attesa delle prossime elezioni legislative.
Delusioni e intrighi, sogni di rivincita, accuse, segni che puoi leggere sui volti dei protagonisti nel confuso tramestio del transatlantico, il luogo ove un tempo, una stretta di mano, o l’accenno malizioso dell’occhio sinistro al capo corrente, decidevano i destini del candidato alla presidenza della repubblica.
Si potrebbe chiedere ad Andreotti, se ancora fosse tra noi a tessere il filo del potere che si riannoda ogni mattino, cosa accadeva in quelle misteriose poltrone della sala dei passi perduti.
Basta, non ne posso più. Esco dal palazzo per essere puntuale all’incontro con l’alta personalità dell’America latina organizzato con l’impareggiabile collaborazione dell’amico Alessandro.
Strano personaggio, questo ingegnere piemontese di sessanta anni e più la cui vita professionale si è svolta in gran parte nelle metropoli venezuelane a costruire le infrastrutture di una nazione ricca dell’oro nero.
Alessandro ama le macchine sportive di cui ha qualche bell’esemplare. Le montagne del vecchio Piemonte dalle cui vette scorgi l’immensità della pianura padana quasi fosse parte della llandes del suo Venezuela. E ama, anche e soprattutto, il mare di quel Salento ove amerebbe vivere un giorno non prossimo la sua tranquilla vecchiaia.
La bella vita, meritata d’altronde, frutto della straordinaria attività imprenditoriale, l’attenzione alla povera gente, alle persone che hanno bisogno perché hanno perduto il lavoro o perché colpite dalla dilagante carestia venezuelana.
La carestia.
Sta tutto qua il ricordo del tratto della mia gioventù, poiché sono consapevole del racconto che udirò dall’alto prelato non appena, convenevoli conclusi con annesso pasto frugale, si affronterà il tema della crisi delle nazioni latino americane nella loro disperante solitudine.
IL continente al quale guardarono nel segno di una rinnovata speranza milioni d’italiani nel corso del novecento per riscattare il destino di sottomissione e povertà, vive uno dei momenti più drammatici della sua storia recente.
Il caos brasiliano, la nazione guida latino americana, che, dopo un ventennio di ininterrotto sviluppo, ha riscoperto tutti i suoi mali antichi: la corruzione di massa accompagnata dalle sterminate favelas ove miseria e oppressione sono un tutt’uno della vita quotidiana di milioni di poveri.
La Rio che si ribella ai sogni di accattivanti polaroid tese a immortalare il Pan di Zucchero, il marmo del Cristo Salvatore o la Brasilia del grande architetto Oscar Niemeyer che disegnò la perfetta babilonia per le generazioni a venire, si accompagnano alla Caracas venezuelana, la metropoli in cui ogni civile convivenza sembra smarrirsi nel clima di violenza e povertà dell’oggi.
I luoghi di cura, palazzi vuoti della misericordia umana ove è persino vano sperare nell’ascolto d’aiuto, la rincorsa, per chi può, ai confini delle nazioni vicine per accaparrarsi i beni prioritari di sussistenza, la violenza accompagnata ai saccheggi quotidiani nel bel mezzo delle manifestazioni di protesta di fronte al potere, sordo e muto, se non con la violenza dei suoi pretoriani armati.
Di questo e altro si è parlato con l’arcivescovo venezuelano, Jorge Liberato Sicuro, in visita a Roma.
Ho letto sul suo volto una profonda tristezza per l’avvenire del suo popolo, la patria venezuelana a cui la storia ha riservato il destino infame di dover sperare nella solidarietà degli antenati della Patria antica che abbandonarono nel corso del secolo ventesimo.
Faremo il possibile, caro arcivescovo, per aiutare il popolo della sua antica e nuova Patria.

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