La mia, forse, si può definire una storia di migrante un po’ atipica. Durante i miei primi trent’anni di vita in Italia, non avrei mai pensato di andare a vivere all’estero; di sposare uno straniero magari sì, ma di andare a vivere all’estero non mi era mai passato per la testa. Molto spesso è il bisogno, la ricerca di un lavoro, che spinge la gente a cercare fortuna in un altro Paese. Nel mio caso è stato l’amore. All’età di trent’anni, infatti, mi sentivo serena dal punto di vista economico-lavorativo: ero insegnante di ruolo a scuola elementare a Catania, dove vivevo. Il grande amore però non era ancora arrivato. Sono nata Mazzarino in provincia di Caltanissetta e mi sono trasferita a Catania intorno ai diciannove anni. Sin da bambina comunque ho sempre trascorso il periodo estivo a Giardini-Naxos, dove i miei genitori avevano comprato un appartamento. Proprio lì, sulla spiaggia, ho conosciuto quello che sarebbe diventato mio marito: uno svizzero tedesco venuto in vacanza con un amico per una settimana. Lui non parlava l’italiano e io non conoscevo il tedesco, così il primo approccio fu in inglese, lingua che entrambi, per fortuna, padroneggiavamo. L’inglese è rimasto il nostro mezzo di comunicazione per almeno un anno, fino a quando cioè non ci siamo sposati nella stupenda Taormina e poi abbiamo cominciato ad imparare l’uno la lingua dell’altro. Subito dopo il matrimonio ci siamo trasferiti in Svizzera, a Lucerna, la sua città. In quel momento, per esigenze lavorative, era più facile per me spostarmi in Svizzera che per lui venire in Italia.
Vorresti tornare in Italia?
Inizialmente pensavamo che forse, dopo alcuni anni, ci saremmo trasferiti in Italia. A dire il vero ancora oggi questa è una opzione non del tutto esclusa. Mio marito, laureato in giurisprudenza, aveva da poco cominciato a lavorare per una società di livello internazionale, presso la quale ha esercitato per circa tredici anni la professione di legale tributario; attualmente sta cambiando lavoro, cosa che un Paese come la Svizzera ti permette di fare se sei qualificato e hai voglia di fare nuove esperienze. In Italia sarebbe molto più difficile. Io, nel corso di questi tredici anni di vita insieme, ho alternato l’insegnamento dell’italiano, nei Corsi di Lingua e Cultura Italiane, a periodi di aspettativa. Così ho cercato di salvaguardare il mio lavoro e la cura della mia famiglia e dei miei figli Maximilian e Carlotta che oggi hanno, rispettivamente, undici e sette anni.
Qual è stato il primo impatto in Svizzera?
Per me quello con la Svizzera è stato un impatto positivo, ma partivo avvantaggiata, se così si può dire, perché ero innamorata e perché mio marito era del posto. Mi ero trasferita in un Paese che non conoscevo e del quale non parlavo la lingua così, senza batter ciglio. Mi sembrava una cosa bella e quindi normale. Così quando alcune amiche mi chiedevano se non avessi paura ad affrontare un cambiamento così radicale, rispondevo che trovavo il tutto un’esperienza entusiasmante e che sarebbe stato interessante imparare il tedesco. Posso dire che, date le circostanze, per me il primo impatto col nuovo Paese fu indubbiamente positivo.
Quali sono, secondo te, le differenze tra l’Italia e la Svizzera?
Come tutti gli italiani, rimasi subito colpita (e lo sono ancora oggi) dalla pulizia e dall’ordine che regnano nel Paese elvetico. Le città sembravano tutte nuove. Così quando tornavo in Sicilia, improvvisamente Catania mi sembrava vecchia e sporca al confronto. Ancora oggi quando vado in Italia, mi balza subito all’occhio la differenza: in Svizzera è sempre tutto perfetto, da noi, beh diciamo che siamo un po’ più disordinati e caotici. Un’altra cosa che mi colpì quando arrivai, furono le montagne così grandi e maestose e anche così vicine. Ero veramente impressionata da quel paesaggio. Io sono cresciuta nell’entroterra siciliano e poi ho vissuto a Catania, una città sul mare che ha sì il grande vulcano Etna, ma questo è isolato e comunque visivamente non proprio così vicino. Un particolare divertente è legato al periodo di giugno/luglio di quel mio primo anno in Svizzera; il tempo era stato brutto a lungo, così avevo aspettato a fare il classico cambio stagionale dei vestiti nell’armadio, come ero solita fare in Italia. Solo nel mese di luglio mi resi conto che in territorio elvetico non avrei mai potuto fare un cambio netto di vestiti nell’armadio. Imparai già da allora, che nel nuovo Paese che mi ospitava, avrei dovuto avere sempre a disposizione giacchette e roba a manica lunga da alternare ai vestiti completamente estivi, in base alle bizze del tempo.
Come ti sei integrata?
Sono cattolica praticante, quindi appena arrivata in Svizzera ho subito cercato la Missione Cattolica di Lingua Italiana. Partecipando regolarmente alla Messa della domenica, ho cominciato a conoscere molti italiani e ad inserirmi in alcune associazioni, un fenomeno che in Svizzera è molto diffuso. Tuttavia ad alimentarlo ancora sono soprattutto le persone meno giovani, in quanto i più giovani, nati e cresciuti in territorio elvetico, sono integrati nella comunità locale. Nella comunità italiana ritrovi le tue radici naturalmente, ma è anche vero che le persone più anziane, danno a volte l’impressione di essersi “cristallizzate” un po’, nel senso che sono rimaste, per certi aspetti, così com’erano gli italiani in quel periodo in cui essi hanno lasciato l’Italia. La presenza massiccia della comunità italiana in Svizzera, mi ha aiutato e mi aiuta a mantenere le mie radici, cosa che mi fa molto piacere.
Ti senti svizzera?
Vivo ormai in Svizzera da tredici anni, ma mi sento assolutamente italiana. Ho acquisito anche la cittadinanza svizzera, quindi sono una doppia cittadina. L’appartenenza ad una nazione però non si misura sulla base di un documento di identità, ma sulla base di quello che hai vissuto, di come sei cresciuta, sulla base di ciò che ti lega ad un Paese, ed io sono nata e cresciuta in Italia, insomma la mia anima è italiana, se mi si consente quest’espressione. Certo per quegli italiani che sono nati e cresciuti in Svizzera è un po’ diverso, soprattutto per quelli che sono qui da più generazioni e magari sono il frutto di matrimoni misti tra svizzeri e italiani.
Per me, quando torno in Sicilia, è meraviglioso rientrare in quell’atmosfera. Per un attimo mi sorprende la teatralità dei siciliani contrapposta ai modi compassati degli svizzeri. Il nostro modo di fare e di parlare è veramente qualcosa che ci distingue.
Cosa vuol dire essere un italiano all’estero?
Chi vive all’estero è sempre diviso tra due mondi e due culture. È una divisione che però moltiplica i vantaggi di una persona. Puoi sempre prendere il meglio da ogni parte. Il senso civico e il livello di civiltà degli svizzeri soprattutto nella gestione del patrimonio comune è eccezionale, così come la loro disciplina e la loro abnegazione nel mondo del lavoro. A questi principi amo ispirarmi quando penso di dare il mio piccolo contributo per migliorare qualcosa nella nostra Italia. Per contro è anche vero che gli italiani hanno un estro, una spontaneità e una flessibilità che raramente si ritrovano negli svizzeri. Sarebbe bello poter prendere il meglio da ogni popolo e creare una società perfetta, ma questa è solo un’utopia. Di sicuro però confrontarsi con altri popoli e culture può aiutare tutti a migliorarsi. È per questo che ritengo che il contributo di pensiero, di esperienza e politico degli italiani all’estero nei confronti del nostro amato Paese sia prezioso. In tal senso spero vivamente che anche a livello politico la nostra presenza e i nostri diritti vengano progressivamente incrementati, anche perché l’attaccamento dell’italiano all’estero alla sua patria, così come anche la sua partecipazione alla vita politica del Paese d’origine, superano a volte quelli dell’italiano in patria.