Primi in Ue per giovani che non lavorano né studiano: il nostro paese in cima alla classifica per presenza e aumento del fenomeno negli ultimi 10 anni
Non lavorano, non studiano né partecipano a percorsi formativi: sono i cosiddetti Neet, acronimo di “Not (engaged) in education, employment or training”, insomma: giovani che non fanno nulla. Troppi, quelli nella fascia d’età compresa tra i 20 e i 24 anni, in Italia, secondo quanto rilevato dalla ricerca Eurostat “Education, employment, both or neither? What are young people doing in the Eu?”.
Secondo lo studio, infatti, la quota maggiore di Neet europei si registra proprio in Italia (31,1%), che in questo batte anche Grecia (26,1%), Croazia (24,2%), Romania (24,1%), Bulgaria (24,0%), Spagna e Cipro (entrambi 22,2%). La percentuale più bassa di Neet, invece, si ha nei Paesi Bassi (7,2%), Lussemburgo (8,8%), Danimarca, Germania e Svezia (9,3%), Malta e Austria (9,8%), Repubblica Ceca (10,8%).
A livello Ue, sono quasi 5 milioni i giovani tra i 20 e i 24 anni (pari al 17,3%) che nel 2015 non hanno né lavorato, né studiato, né si sono formati.
Anche se, in Europa, la percentuale di giovani tra i 20 e i 24 anni né occupati né impegnati in percorsi di formazione tra il 2006 e il 2015 è rimasta sostanzialmente stabile nel suo complesso, importanti cambiamenti sono avvenuti negli ultimi 10 anni. E anche in questo l’Italia non ci fa una bella figura. In 10 Paesi, il tasso di Neet è diminuito: le riduzioni più significative si sono registrate in Germania (passata dal 15,2% del 2006 al 9,3% nel 2015), ma anche in Bulgaria, Svezia, Repubblica Ceca e Polonia.
La situazione si è invece “deteriorata”, sottolinea lo studio, soprattutto in Italia, dove la percentuale di giovani Neet è passata dal 21,6% al 31,1%, in Grecia e in Spagna (che fanno male quasi quanto noi). Neet in aumento, anche se con percentuali minori, anche in Irlanda, Croazia, Romania, Portogallo, Regno Unito, Danimarca e Finlandia.
I Neet sono più infelici
Già nel 2013 uno studio simile si è occupato della questione “Neet”, mostrando la seguente condizione: i Neet non studiano, non lavorano, ma sono anche molto più infelici dei loro coetanei. Mentre i “non Neet” nel 2013 si dichiaravano abbastanza o molto felici in misura di 3 su 4, tra i Neet il valore precipitava: oltre 1 su 3 tra le donne e quasi 1 su 2 tra gli uomini si dichiarava per nulla o poco felice. A conferma di questo dato, le risposte sulla “fiducia nelle persone”.
In generale lo studio dimostrava che era poca per tutti i giovani, ma se tra i “non Neet” meno di 1 su 3 affermava che gran parte delle persone è degna di fiducia, tra i Neet si scendeva a 1 su 4. Nelle donne, il senso di isolamento era particolarmente avvertito. Meglio la situazione tra i maschi, ma non di molto. Se si chiedeva di esprimere il grado di fiducia verso le persone più vicine e con le quali più si interagisce nella propria quotidianità, l’80% dei “non Neet” si dichiarava fiducioso, mentre tra i Neet i valori erano di ben 10 punti percentuali più bassi: 70,4% tra i maschi, 67,7% tra le femmine.
“In Italia non solo si sta allargando la condizione di Neet”, aveva osservato allora Alessandro Rosina, tra i curatori dell’indagine, avvertendo che “anche le famiglie si trovano sempre più in difficoltà a svolgere il ruolo di ammortizzatore sociale nei confronti dei giovani”. Nel perdurare della crisi economica, ha aggiunto Rosina, “questo segmento della popolazione rischia non solo di allargarsi sempre di più ma anche di scivolare sempre più in profondità, in una condizione che mescola frustrazione personale e risentimento sociale. La politica, soprattutto su questa fascia di giovani, deve agire in tempi brevi e in modo incisivo”.
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