Secondo gli esperti Yara Gambirasio non sarebbe morta per il colpo alla testa né per le ferite subite ma a causa del gelo
A quasi nove mesi dalla scomparsa di Yara Gambirasio, ritrovata tre mesi dopo morta in un campo presso Chignolo d’Isola, a circa nove km dalla palestra dove era stata vista per l’ultima volta, gl’inquirenti brancolano nel buio più pesto. Gli anatomopatologi Cristina Cattaneo e Luca Taina, esperti incaricati di eseguire l’autopsia e di scrivere la relazione, consegnata giovedì della settimana scorsa, hanno compiuto una serie di rilievi, hanno analizzato punto per punto il corpo della ragazza, hanno trovato una traccia genetica sullo slip della giovane ginnasta, alla fine hanno fatto una serie di ipotesi ma senza arrivare ad una conclusione certa.L’ipotesi più probabile è che l’assassino l’abbia colpito alla testa, forse con una pietra, poi che l’abbia ferita in più punti, che prima abbia tentato di violentarla senza peraltro riuscirci, ma che poi l’abbia abbandonata ancora viva. Gli esperti ritengono che il colpo alla testa non sia stato mortale, come non siano state mortali le ferite da arma da taglio. E allora, com’è morta Yara? La conclusione è che sia morta a causa del freddo e del gelo. Yara era viva quando il suo sequestratore l’ha abbandonata, probabilmente credendola morta, ma non ha avuto la forza né di gridare, né di alzarsi per chiedere aiuto. Il colpo alla testa l’ha tramortita, le ferite hanno fatto il resto, per cui non ha potuto reagire. Poi il freddo e la neve le hanno tolto ogni possibilità di riprendersi.
Probabilmente, se si fosse andato a cercare in quella zona e la si fosse trovata, Yara si sarebbe salvata, ma solo nelle ore subito successive al sequestro. Invece, è rimasta lì, sepolta dalla neve e poi dal gelo per giorni e giorni, fino a quando non è stato ritrovato il suo cadavere, il 26 febbraio del 2010, per caso, grazie al modellino di aereo teleguidato da un uomo che non ha funzionato e che è andato a sbattere proprio vicino al corpo straziato della ragazza.
Gli esperti fanno ancora un’altra ipotesi, cioè che Yara sia stata rapita e messa con la forza in un furgone, all’interno del quale lei avrebbe reagito ma avrebbe ricevuto prima un colpo alla testa e poi ferite con un coltello e poi sarebbe stata abbandonata in quel punto. Un dato è certo: sullo slip di Yara è stata trovata una traccia biologica di un uomo, sicuramente il sequestratore-assassino o uno dei sequestratori. Ci sarebbe stato un tentativo di violenza, non riuscito a causa della reazione della ragazza: una traccia biologica in quel punto non può avere altra spiegazione. Il Dna trovato, però, non ha né un nome, né un volto, e sicuramente non l’avrà mai.
Il fatto che gl’inquirenti abbiano sottoposto a schedatura biologica più di quattromila persone di Brembate senza trovare nulla significa una cosa sola, che l’assassino non è uno della zona, ma uno di passaggio, il che significa anche che non lo si troverà mai. È questa l’amara constatazione degli inquirenti, che si ritrovano con un pugno di mosche tra le mani. All’indomani del ritrovamento del cadavere di Yara e dei pochi effetti personali (i guanti, l’iPod, lo zaino, il telefonino, i vestiti), si pensava che ci fossero elementi a sufficienza per arrivare all’assassino. Invece, nulla. Mesi fa, sulla base di nessuna pista fondata, lo scrivemmo: l’assassino sarebbe stato trovato solo se fosse stato uno del paesino o uno dei conoscenti della ragazza, se fosse stato uno sconosciuto, difficilmente sarebbe stato rintracciato se non per pura casualità. D’altra parte, se uno sconosciuto di un’altra città o di un Paese straniero ammazza un povero malcapitato senza testimoni, come si fa a rintracciarlo? Adesso, di questa amara conclusione, sembrano aver preso atto anche gl’inquirenti che non sanno cosa fare. Da alcuni mesi a questa parte, in Procura o all’Eco di Bergamo sono arrivate un centinaio di lettere anonime in cui l’autore ammette di essere l’assassino adducendo prove che gl’inquirenti non ritengono credibili in quanto si tratta di sommarie ricostruzioni tratte da notizie apparse in precedenza sui giornali. Non si tratta dell’assassino, ma di mitomani che imbucano le lettere da città lontane, come è il caso dell’ultima lettera scritta con un normografo e in maniera sgrammaticata, imbucata a Genova. Le lettere sono tutte al vaglio del Ris, anche perché in assenza di alte piste esse potrebbero costituirne una, difficile come non mai ma pur sempre un elemento di indagine in un caso che rischia di rimanere senza soluzione.