La scuola svizzera di Roma è una realtà che ha successo da oltre settanta anni grazie al metodo educativo che piace agli italiani
La “Schweizer schule Rom” è stata fondata nel 1946 e offre un programma scolastico con lingua tedesca in un percorso formativo dalla materna fino al liceo. Gli studenti, a conclusione dei corsi scolastici, ottengono il diploma svizzero di maturità che gli permette di accedere alle università svizzere ed europee. Le richieste di iscrizione sono tante e provengono anche dalle famiglie italiane.
Ma perché ha così successo anche tra i romani? Lo abbiamo chiesto a Filippo Leutenegger, capo del dipartimento scuola e sport di Zurigo.
Da dove è nata la necessità di una scuola svizzera a Roma?
Sicuramente dalle esigenze delle famiglie di nazionalità elvetica come quelle delle Guardie Svizzere in Vaticano ma anche del corpo diplomatico presente sul territorio romano. Anche le famiglie con un genitore di origini svizzere che tengono particolarmente a mantenere la lingua e la cultura della Confederazione hanno trovato una scuola valida per l’educazione multilingue dei loro figli. Negli anni il modello educativo si è consolidato ed è piaciuto non solo agli svizzeri ma anche agli italiani e le iscrizioni dei romani sono significative. In ogni caso a scuola si parla anche l’italiano quindi non c’è una barriera linguistica insormontabile.
La scuola porta un po’ di rigore svizzero nella città eterna?
Non esattamente. Ci sono sicuramente diversi genitori romani i quali cercano una scuola che abbia un approccio didattico differente da quello italiano. Ciò che convince le famiglie è soprattutto la pedagogia moderna secondo il modello svizzero in cui l’allievo è inserito in un ambito maggiormente famigliare dove c’è più attenzione nei rapporti tra ragazzi e i docenti.
Qual è il metodo didattico in questione?
Il concetto è di base quello che segue l’intuizione di educazione del pedagogista zurighese Johann Heinrich Pestalozzi (il quale incitava uno sviluppo armonico e complementare dell’emotività, dell’intelletto e della manualità o corporeità dell’allievo-ndr) e si sviluppa in un contesto più piccolo, in classi con un numero ristretto di allievi in cui c’è maggior personalizzazione. Ogni allievo è seguito nella sua fase di crescita anche grazie alla condivisione del pranzo e di altre attività didattiche o sportive. Il campus è “famigliare” perché si conoscono tutti proprio come se fossero in una grande famiglia e il sistema svizzero è in ogni caso rispettato e ben visto da tutti. I ragazzi imparano, oltre al tedesco, anche un’altra cultura, molto diversa da quella italiana, e preparano le basi per una crescita professionale più ampia, sicuramente meno restrittiva.
Possiamo dire che la scuola prepara “super allievi”?
Al termine del ciclo degli studi gli allievi apprendono cinque lingue (tedesco, italiano, francese, inglese e latino) e possono proseguire la loro formazione in tutta Europa. Gli studenti italiani non hanno una formazione plurilinguistica e rimangono troppo legati alla loro, seppur meravigliosa, lingua. Le porte delle università europee sono sicuramente aperte e questa necessità di avere una vasta scelta di formazione futura è un’esigenza di tante famiglie italiane che pensano al futuro dei loro figli con largo anticipo.
E, concludiamo, sicuramente è una scelta educativa lungimirante per un mercato del lavoro sempre più esigente e multiculturale.
Gloria Bressan