Un video su un quotidiano italiano attrae la mia attenzione. Titola: Liechtenstein-Italia, l’inno di Mameli non parte: ci pensano i tifosi. Dio, come sono cambiati i tempi! Per fortuna, talvolta, succede che cambino in meglio. Scorre il video e mi emoziono. Che bello vedere il pubblico con parrucche tri-colori e occhi che brillano vivaci su un viso ove, orgogliosamente dipinti, spiccano i colori della ban-diera. L’inno non parte? Poco male, lo intonano i tifosi! Che differenza! Al coro si unisce anche la squadra dei calciatori, cantano anche dalla panchina, l’allenatore… Sono piacevolmente compiaciuta. E perché mai? Mi viene in mente un “episodio familiare” di vari anni fa, ai tempi dei mondiali. Riporto il breve scritto che allora pubblicai affinché, comprendendo la differenza, possiate gioirne con me.
Cattivi esempi
Mi sono isolata a scrivere in camera ma il fracasso proveniente dalla Stube mi distrae, richiama la mia attenzione. Fischi, urla, commenti, invettive. Di questi tempi non si sente altro, è il momento dei mon-diali. Un urlo più forte. Accorro.
– Ha segnato l’Italia! – i miei uomini giubilano. Per un momento gioisco anch’io, ma sono delusa, contrariata. Anzi, indispettita. Poco prima, abbiamo avuto una lunga discussione. Io trovo scandaloso che i giocatori italiani, non accennano neanche ad aprire bocca quando s’intona l’inno nazionale. Mi è rimasta nel cuore un’immagine americana. All’occasione penso con invidia a quello stadio gremito in Idaho. Si distribuivano le lauree. Dopo l’inno universitario, l’inno nazionale. Tutti scattarono in piedi. Un donnone accanto a me, professoressa di mio figlio, orgogliosamente impettita, mano sul cuore, can-tava come tutti gli altri, a squarciagola. Gli americani! Un inno è legame. Unione. E noi? E poi mi fa rabbia vedere cantare francesi, inglesi, tedeschi e sudamericani! E noi? non abbiamo bisogno di un momento d’unione?
– Scriverò al Presidente! – ho commentato, mentre la telecamera scorreva sui volti dei giocatori.
– Ma non vedi? – scusano benevoli i miei tifosi – Non sanno cantare!
– Non devono mica intonare il Nessun dorma – ribatto imperterrita. – Glielo dovrebbero imporre!
– C’è libertà… – aggiungono – mentre io riguadagno la camera. Ritorno al mio lavoro distratta, nella te-sta mi frulla più di qualche pensiero. “Non c’è sentimento d’unione, amore di Patria. Bossi ha gioco facile”. “Che stupidi! noi italiani sparsi per il mondo che soffriamo tanto di nostalgia e guardiamo con occhi commossi tutto ciò che ci ricorda il nostro Paese”. “È il testo che è fuori tempo e non piace”. “E la marsigliese allora?”. Dentro di me, e per me, mi faccio il paro e sparo. Mi piacerebbe vederli cantare, vederli fare da esempio, come quella professoressa in Idaho. Sono i campioni, perdinci! E sarebbe un momento d’unione ideale. Costa davvero tanto ai giocatori cantare il proprio inno nazionale? Ribatto, confermo, insisto: glielo dovrebbero imporre. Chi ha pagato i quattro miliardi d’affitto per la loro residenza da re? Fanno i nababbi e all’Italia va bene così. Ma in fondo che cavolo fanno? Fanno le prime donne, le stars. Gente che lavora coi piedi*.. – E no cantano manco “Fratelli d’Italia”!
* Nel gergo popolare “un lavoro fatto con i piedi” è un lavoro fatto male, da poco. Qui è volutamente ironico-spregiativo.
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Tornando a noi, sono convinta che il pubblico, almeno quello all’estero, emigrante come me, l’inno l’abbia sempre cantato. Per chi vive fuori dai patri confini, esso è groviglio di emozioni, di ricordi, di amor patrio; è nostalgia e amore-odio; è legame eterno con nostra madre terra. Oso dire che, per noi non c’è niente di nuovo. È stato e sarà sempre così. La differenza è vedere che loro, nel frattempo, hanno imparato (glielo avranno imposto?) le parole e a cantare. Perdinci! ripeto, sono i campioni! Così, una partita diventa più bella: l’inno, il pubblico azzurro, il tricolore… Il tutto ti emoziona ancora e di nuovo. Quest’immagine dell’Italia mi piace. È l’Italia (spero) con un sentimento in più.
Gemma Capone