
Di fronte alla devastazione e alla sofferenza quotidiana a Gaza e in Cisgiordania, dove vite innocenti sono messe alla prova dal dolore e dalla distruzione, possiamo guardare all’umanità che resiste come a un esempio di forza interiore. La volontà di affermare la vita, di prendersi cura degli altri e di mantenere la speranza, diventa un atto di coraggio e resilienza. Nietzsche scriveva: “Io sono qualcosa che deve accadere”. In mezzo al caos e al dolore di Gaza, questa stessa frase diventa guida: ogni vita che resiste, ogni gesto di solidarietà, è espressione della Volontà di Potenza, quella forza interiore che trasforma la sofferenza in crescita e illumina la via verso un giardino di pace. Dove l’anima rinata danza come una stella nel cielo e i suoi neuroni critici e gioiosi della mia lettura controvento.
Gaza Riviera: dalla visione alla realtà A fine luglio alcuni parlamentari e ministri della Knesset hanno svelato il loro piano: una Gaza dove fame, bombe, veleni e cecchini eliminano ogni residuo umano indesiderato. Ben Gvir lo ha detto senza veli: “Nessun negoziato. Occupazione. Incoraggiare l’emigrazione.” Non è retorica: è strategia di potere. Dietro la narrativa ufficiale si nasconde un calcolo freddo, dove la sofferenza diventa strumento e la tragedia scenografia. Chi controlla l’informazione manipola le masse con precisione chirurgica. Le mie analisi – basate su fonti spesso ignorate o censurate in Europa come NYT, Haaretz e altre indipendenti – smascherano questa ingegneria sociale, non per sete di verità ma per mostrare il suo opportunismo politico. Non sono semplici opinioni: risultano spesso più credibili delle veline mainstream, che parlano per conto dei portatori di capitale, non della verità. L’Occidente predica la difesa degli oppressi ma nella pratica alimenta queste ingiustizie. Gaza Riviera è uno dei suoi laboratori: un territorio da “bonificare” e trasformare in vetrina per investitori e detentori di asset. Non chiamerò “guerra” ciò che considero un genocidio, né “terroristi” quelli che vedo come resistenza. Né “Nazioni Unite” un organo che agisce come braccio legale dell’Impero, né “democrazia” un sistema che diventa plutocrazia. I politici che dovrebbero difendere la Costituzione si comportano come vassalli di Usraele (USA–Israele), tradendo il loro mandato. Per sopravvivere al proprio declino, l’Occidente – Israele incluso – usa come ultime risorse potere militare e finanza, non solo contro i nemici esterni ma contro tutto ciò che appare come ostacolo alla pax americana: cultura “woke”, migranti, paesi latinoamericani troppo autonomi, Cina come avversario sistemico, Russia e qualsiasi Stato disobbediente all’egemonia del dollaro.
Verso l’israelizzazione dell’Occidente In cento piazze italiane e in molte altre d’Europa, milioni di persone sono scese a manifestare per la Palestina. Una coscienza civile ritrovata, sebbene poco visibile nei media. Tuttavia, queste proteste restano spesso valvole di sfogo, non sostegno reale ai palestinesi; intanto l’industria bellica non si ferma. L’Occidente sembra adottare un modello sempre più simile a quello israeliano e negli USA trumpiano, con un “uomo forte” utile a proteggere la plutocrazia dominante. Quattro segnali lo rivelano: 1) Stato di emergenza permanente 2) Centralità del cittadino-soldato 3) Sorveglianza tecnologica come potere politico 4) Appartenenza etnica come criterio di riconoscimento. Come per il green pass, fondato su paura e controllo, diritti ridotti a concessioni, obbedienza premiata e sicurezza come strumento di potere. Dopo anni di emergenze, non solo nello Stivale, ma “dal fiume al mare”, si diffonde un virus devastante: l’indifferenza.
Un genocidio si sta consumando in diretta e viene ormai percepito come endemico. La Commissione d’inchiesta del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, in un rapporto di 72 pagine pubblicato il 16 settembre, denuncia senza esitazione che le autorità e le forze di sicurezza israeliane agisce con l’intento di distruggere, i palestinesi nella Striscia di Gaza, con uccisioni sistematiche. Torture fisiche e psicologiche, fame, mancanza di ospedali e medicinali, cecchini nei punti di raccolta di cibo con misure per sopprimere le nascite rientrano nei criteri di genocidio secondo la Convenzione Onu del 1948. Il paese con il popolo eletto 3 mila anni fa come scritto nelle sacre scritture, continua a fare affari con aziende occidentali, a ricevere fondi dalle banche europee e statunitensi, a partecipare a eventi sportivi e canori internazionali. L’orrore quotidiano che non conosce pietà contrasta in modo sconvolgente con il nostro quotidiano. Mentre da noi si vedono già i primi segni del Natale, i Gazewi si chiedono se passeranno la notte e se i loro figli avranno cibo sufficiente nei prossimi giorni. Tutto questo inferno non è casuale, ma un piano strutturato e persistente, mirato a cancellare un popolo. Ignorarlo significa esserne complici passivi. Casa dopo casa crolla sotto gli occhi desolati dei loro cittadini e i crimini dell’IDF sono sistematici: A Gaza, l’arsenale dell’IDF trasforma la Striscia in un laboratorio di guerra, per lo sviluppo da parte di startup da tutto il mondo di sistemi di sorveglianza gestiti da algoritmi IA. Dall’alto, caccia F-16 e droni colpiscono con bombe guidate, mentre l’artiglieria e i carri Merkava radono al suolo interi quartieri. Missili Spike, fuoco navale e armi leggere completano un assedio totale, dove ogni edificio diventa bersaglio e ogni fuga un rischio. Vi sono poi i più sadici che appostandosi dall’alto di quei pochi edifici ancora in piedi, mirano con i loro fucili di precisioni alla testa dei bambini, potenziale terroristi. Sullo sfondo, il sistema Iron Dome intercetta i razzi provenienti da Gaza, in un conflitto asimmetrico che non conosce tregua né confini. I bersagli sono le infrastrutture e luoghi civili, interruzione di acqua, energia e cibo, ostacolo a medicinali, uccisioni e ferimenti di centinaia di migliaia di civili, e sfollamento forzato di quasi due milioni di persone.
Ipocrisia UE La Commissione europea annuncia dazi per 227 milioni di euro su Israele e sanzioni ad personam verso alcuni ministri, senza toccare l’esportazione di armi. Una misura ipocrita rispetto ai 42,6 miliardi di scambi effettuati con Israele nel 2024, che conferma l’Europa come principale partner commerciale. Le sanzioni sono inoltre indebolite dal bisogno del consenso della maggioranza degli Stati membri, tra cui Germania e Italia, contrari a misure più decise (vergogna!). Paradossalmente, Francia e Regno Unito hanno riconosciuto lo Stato di Palestina senza fermare la vendita di armi a Israele. L’Assemblea Generale dell’Onu del 22 settembre ha discusso la soluzione a due Stati e il riconoscimento della Palestina, affrontando Stati Uniti e Israele. Mentono in cattiva fede l’intero esecutivo dei politici italiani, a cominciare dalla “madre cristiana” Meloni fino all’ex imprenditore della difesa Guido Crosetto, che prima di diventare ministro ha ricoperto incarichi in aziende del settore militare e ricevuto compensi da aziende leader nel settore come Leonardo. Crosetto era titolare una società di lobbying, la Csc & Partners, condivisa con il figlio e la compagna. Mente il lungo naso di Pinocchio di Conte che firmò ogni decreto per l’invio di armi in un’altra guerra e l’intera sinistra all’epoca al governo sempre vassalli come oggi dell’impero USA, dal covid al New green Deal e dal PNRR in poi.
La farsa della tregua Un cessate il fuoco tra l’altro mai rispettato da Israele, ha l’unico scopo di fare rifiatare l’IDF allo stremo sia per mancanza di risorse umane come del morale delle truppe, dopo due anni di attacchi senza avere raggiunto nessun risultato concreto. Senza dimenticare l’avere spento in parte il crescente dissenso in tutto il mondo addirittura dei politici costretti ad ammettere la follia ma non la loro responsabilità. Gaza è un cumulo di macerie, la Cisgiordania occupata dai coloni che con l’appoggio e armati dall’IDF, saccheggiano e bruciano le case dei palestinesi che secondo stime sarebbero oltre 450’000 ad avere lasciato il territorio. Questo senza nessuna risonanza mediatica, ma si preferisce raccontare ogni giorno della piaga del femminicidio o degli orrori sulle strade italiane o incidenti sul lavoro, piuttosto che scuotere l’opinione pubblica, che potrebbe capire chi ci governa. Abbiamo poi Gerusalemme est annessa all’espansionismo sionista, rendendo impossibile oggi una soluzione a due Stati proclamati dall’ipocrisia europea. Stiamo entrando in un’epoca di guerra accettata e “pace giusta” illusoria. L’Occidente, restando inerte, legittima il crimine come strumento di politica. Israele ha violato la sovranità di sette stati arabi dall’ottobre 2023, colpendo Gaza, Siria, Libano, Iran, Qatar, Yemen e la flotta della Global Sumud in Tunisia. Per simili azioni, la Russia sarebbe considerata minaccia esistenziale, ma il mondo arabo (non i suoi cittadini) è piegato agli interessi occidentali. I movimenti palestinesi avvertono: non può esserci ricostruzione senza liberazione e giustizia. Dopo l’assedio a Gaza, la questione non è solo il cessate il fuoco o aiuti, ma di chi controllerà l’enclave? Ogni apertura verso la “ricostruzione” chiude le finestre della sovranità, imponendo un ordine politico sotto supervisione straniera, dove tecnocrazia e “realismo politico” sostituiscono giustizia e resistenza. Direi senza remore che l’esito del genocidio non può essere misurato secondo gli standard dei tradizionali conflitti tra stati, ma deve essere inteso come “una lotta esistenziale tra un popolo in cerca di liberazione e un’occupazione sostenuta dall’Occidente”.
Cambiamento nella coscienza globale Ancora più significativo, è che questo genocidio sta mostrando una solidarietà senza precedenti con i palestinesi da parte di sempre più cittadini di ogni rango. Proteste di masse e riconoscimenti simbolici dello Stato di Palestina, tutti segnali di un profondo cambiamento nell’opinione pubblica occidentale e non solo. Anche se vediamo solo gli scontri in piazza di poche falangi che hanno il compito di creare disordine e indignarci, dando potere al nuovo decreto sicurezza. Ma quando sono in milioni a scendere in piazza non c’è decreto che tenga!
La ricostruzione come merce di scambio e il nuovo volto dell’occupazione. Le proposte internazionali per l’amministrazione di Gaza, che si tratti di un governo tecnico o di un’autorità di transizione vengono spacciate come necessità umanitarie. In realtà, sono poco più che semplici rifacimenti estetici dei vecchi meccanismi di controllo. In questo contesto, Abu al-Ghazlan sottolinea che qualsiasi proposta del genere “deve essere il risultato di un dialogo nazionale palestinese inclusivo, non di accordi stranieri o di una tutela internazionale”. Afferma che “la ricostruzione è un diritto umano, non una merce di scambio politico” e respinge qualsiasi tentativo di collegarla al disarmo o a restrizioni alla resistenza che si vorrebbe disarmata e quindi eliminata.
Il piano di pace per Gaza proposto da Donald Trump, presentato il 29 settembre 2025, è un’iniziativa articolata in 20 punti finalizzata a porre fine al conflitto tra Israele e Hamas, iniziato il 7 ottobre 2023. Il piano prevede una serie di misure immediate e a lungo termine, con l’obiettivo di trasformare Gaza in una zona pacifica e prospera. Diro subito che il piano Trump per Gaza è profondamente sbilanciato e di parte. Esso esige con l’arroganza che lo contraddistingue, dai palestinesi l’espiazione per gli orribili atti del 7 ottobre, ma non da Israele per le barbarie che ne è seguita e dalle responsabilità degli USA che ora propongono una tregua. Si chiede la deradicalizzazione di Gaza, ma non la fine del messianismo israeliano. Detta in ogni aspetto il futuro del governo palestinese, senza dire nulla sul futuro dell’occupazione israeliana. Vi sono molte ambiguità ed è privo di un calendario definito, di giudici neutrali o di conseguenze per le inevitabili future violazioni, che possiamo starne certo verrà adottato da parte di Israele. I Gazewi passeranno dall’essere vittime indifese a rifugiati due volte espropriati nella loro stessa terra. Metaforicamente: Da proxy iraniano demolito a prospero alleato abramitico. Il cessate il fuoco di Trump è arrivato mentre sia Hamas che Israele erano davvero in crisi. Hamas, tra fame, bombardamenti su Gaza e pressioni arabe e turche, ha accettato di consegnare gli ostaggi israeliani senza avere certezze sul ritiro di Israele o sulla ricostruzione. Israele di un’economia in grave crisi, immagine internazionale a pezzi, e per ora rinuncia a sconfiggere Hamas e al suo piano di pulizia etnica (rimandato). Trump ha praticamente imposto il suo piano a Netanyahu perché il mondo gli stava addosso, la base interna (gli Illuminati) faceva storie e anche gli alleati arabi erano incazzati dopo i bombardamenti sul Qatar. Punti salienti del piano Trump Leggendo i dettagli anche un bambino capirebbe, che non è l’aggressore a pagare per i danni, ma l’aggredito a dovere accettare le condizioni e sostanzialmente un’evoluzione della “Riviera del Medio Oriente” da Trump proposta a febbraio.
Gaza Riviera e la Via del Cotone, Ilan Pappé nel suo La fine di Israele. (Il collasso del sionismo e la pace possibile in Palestina), rivela il fallimento strutturale del sionismo. In un futuro ideale, le piazze e il dissenso contribuiscono a uno Stato palestinese democratico, con ritorno dei rifugiati e convivenza tra ebrei e palestinesi. Israele non è più uno Stato “liberale”, ma una potenza neo-sionista dominata da coloni suprematisti, ideologi religiosi e ONG missionarie, uniti dall’idea di una missione sacra. Gaza diventa un laboratorio coloniale, tra guerre su più fronti, crisi interna e IDF logorato. E mentre Israele si incaponisce in questa spirale, entra in gioco il neoliberismo con il cosiddetto Gaza Riviera Project. Questo piano circola negli ambienti economici e diplomatici come la “soluzione finale” al problema palestinese: Gaza trasformata in una zona costiera “pacificata”, svuotata dei suoi abitanti originari e destinata a turismo, investimenti e infrastrutture, sotto il controllo israeliano e dei partner del Golfo. Il tutto orchestrato dalla regia di Trump e dei suoi alleati, tra cui BlackRock. Non più distruggere per odio o per ideologie bibliche, ma ricostruire per profitto. Il Cotton Road Project (Via del Cotone) rientra in un disegno regionale parallelo alle nuove rotte commerciali tra India, Arabia Saudita, Israele e Mediterraneo, creando un corridoio economico alternativo alla Via della Seta cinese. Questo progetto, sostenuto dagli USA, prevede infrastrutture, ricostruzione “di lusso”, con resort, porti e autostrade che collegheranno India, Golfo e Mediterraneo e sfruttamento dei ricchi giacimenti di gas nel mediterraneo con porti e zone industriali molto vicine a Gaza e Israele. Per farlo funzionare, è necessaria stabilità e controllo del territorio, motivo per cui Israele sta cercando di “ripulire” la zona costiera dai “non umani” e inserirla in un nuovo asse commerciale indo-mediterraneo.
Mettendo insieme i pezzi:
- Il neo-sionismo fornisce la giustificazione ideologica e militare per espellere i palestinesi.
- Il Progetto Gaza Riviera dà la copertura economica e urbanistica a quella stessa espulsione, trasformando il disastro umanitario in business immobiliare.
- Il Progetto della Via del Cotone inserisce tutto nel gioco geopolitico globale, legando Israele a India, USA e monarchie del Golfo, e sostituendo l’influenza cinese nella regione.
Al di là della narrativa della pulizia etnica e di lotta al terrorismo (resistenza), sorgerà un nuovo ordine economico, un Medio Oriente privatizzato, con Israele come nodo logistico e militare centrale, e con i palestinesi ridotti a forza-lavoro o rifugiati senza identità. È neoliberismo con i droni democratici e le bombe intelligenti e il consenso manipolato: prima distruggi, poi cacci i Gazewi e infine ricostruisci, ma solo per chi può pagare che sono ovviamente gli aggressori. (vedi Ucraina)
La Road Map è la seguente: Proposta iniziale: Viene concepita l’idea di gestione per dieci anni della Striscia da parte degli Stati Uniti, con deportazione temporanea della popolazione gazawa e ricostruzione degli edifici distrutti per creare un centro tecnologico e turistico, simile a una “nuova Dubai”. Dettagli della popolazione: Il piano prevede trasferimenti temporanei e “partenze volontarie” verso altri Paesi o zone delimitate, con compensi di 5.000 dollari e sussidi alimentari e token digitali in cambio dei diritti sulle proprietà. Colonizzazione e incentivi: I token possono essere convertiti in denaro e utilizzati per riscattare appartamenti nelle nuove città. L’investimento iniziale di 100 miliardi di dollari dovrebbe generare ricavi quasi quadrupli in 10 anni, riducendo i costi per alloggi temporanei e sussidi. Progetto high-tech: La Gaza Riviera prevederebbe otto città tecnologiche, con AI per la gestione urbana, data center, fibra ottica collegata a Egitto e Giordania, porto, aeroporto, hotel di lusso, strade di collegamento con Israele e una zona industriale intitolata a Elon Musk. Gestione e sviluppo: Inizialmente la gestione sarebbe totalmente americana tramite il “Great Trust”, sviluppato da gruppi legati alla Gaza Humanitarian Foundation e con pianificazione finanziaria curata da ex Boston Consulting Group. Dopo 10 anni, la gestione dovrebbe essere condivisa con un’entità palestinese non meglio identificata. Discussioni e diffusione: Trump ne ha parlato con Marco Rubio, Witkoff, Tony Blair e Kushner alla Casa Bianca anche se il piano non ha ancora l’approvazione ufficiale. Senza la complicità di oltre 60 stati che fanno da apripista per le numerose imprese commerciali, la sanguisuga del capitale e i suoi “malefici” non vogliono fermare né i crimini né i criminali essendone loro i promotori.
Gaza ci parla, i segnali sono davanti a noi non sono lontani: controllo tecnologico, tecnocrazia militare, indifferenza civile. Oggi nei cieli di Gaza, domani nelle nostre città. L’IDF, i droni, le bombe intelligenti mostrano la potenza di chi governa con il terrore; se restiamo ciechi, potremmo vivere lo stesso modello. Non è solo un conflitto lontano: è un monito. Gaza è uno specchio. Ogni abitante che resiste ci insegna che la libertà non cade dal cielo, si difende con coraggio. Sé restiamo passivi, la spirale ci travolgerà. Oggi Gaza, domani noi. Non basta indignarsi: è tempo di conoscere, reagire, resistere.
Mario Pluchino
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