Questa è l’appassionante storia del nostro lettore Luciano Argenta che vuole condividere con tutti i connazionali: “la storia di un vecchio alpino che ancora tanto vecchio non si sente”
Sono nato in provincia di Belluno all’inizio degli anni ‘40. La mia famiglia era formata da mio padre boscaiolo, esperto per il trasporto del legname a valle, mia madre casalinga e un fratello di quattro anni più giovane. Quella poca terra che avevamo veniva lavorata per lo più a mano. Quando la stagione andava bene bastava giusto giusto per la nostra famiglia. Anche se di condizioni modeste, che a quel tempo era la norma, non abbiamo mai sofferto la fame. Dopo la scuola, le vacanze estive da giugno a metà settembre le passavo in montagna, assieme ad altri cinque cugini da una zia che aveva una malga. Delle estati trascorse lassù conservo ancora dei bei ricordi, anche se perdevamo la nozione del tempo e ci sembrava di vivere allo stato selvaggio. Quel contatto con la natura era scuola.
Per mio padre nella vita sarei stato un fallito
Terminate le elementari mi iscrissi alla scuola d’Avviamento professionale del mio comune. La durata era di quattro anni e dava la possibilità d’imparare tre mestieri: muratore, falegname-carpentiere e meccanico. Io scelsi il muratore come del resto la maggioranza. Sognavo che se avessi avuto la possibilità avrei ristrutturato la “catapecchia” dei genitori e, perché no, una casetta nuova per me. L’iscrizione alla scuola me la pagava la zia della malga, il resto, libri, materiale didattico e attrezzi per la pratica dovevo provvedere io.
Mio padre seguitava a ripetermi, che mandare a scuola me era tempo e soldi sprecati. Nella vita sarei stato un fallito e mi avrebbe dovuto mantenere fino a sessant’anni. La gente del paese però mi dava fiducia e persone anziane o donne con il marito all’estero mi chiamavano spesso per dei lavori, questo mi era sufficiente per mantenermi. A mio padre non ho portato rancore per questo, lui ha avuto un’infanzia molto dura. Gli ho rimproverato, invece, di non aver avuto più rispetto per la mamma che per il suo carattere severo e irascibile ha sofferto molto.
La possibilità di lavoro
I primi di giugno del ‘58 finiva per me la scuola professionale e superai gli esami molto meglio del previsto. Un giorno mentre stavo raccogliendo un po’ di fieno poco lontano da casa, vedo fermarsi la macchina grigia del sindaco, persona semplice alla mano, che mi disse: “A Budrio abbiamo iniziato da poco a produrre anche travature, in calcestruzzo per ristrutturazioni e ho bisogno di un nuovo operaio. Al tuo maestro di disegno ho chiesto, se tra gli alunni ci fosse qualcuno volenteroso e promettente. Senza esitare ha fatto subito il tuo nome”.
Risposi che non avevo bisogno di riflettere e che accettavo. Mio padre fu il più sorpreso, lui che su di me non avrebbe scommesso un centesimo, ora era il più orgoglioso. I giorni seguenti a casa e con gli amici non si parlava d’altro, ma più si avvicinava il giorno della partenza e più aumentavano le mie paure. Mi rattristava molto il pensiero di lasciare la mamma, mio fratello, i compagni e anche il paese.
La partenza
Non chiusi occhio quella notte e la mamma nemmeno, perché volle finire di sistemarmi i pochi indumenti che avevo e prepararmi una torta di mele di cui andavo ghiotto. Avevo una vecchia valigia di mio padre e un sacco bianco di juta, la mamma mi accompagnò facendomi le ultime raccomandazioni. Era buio per fortuna, mi allontanai alcuni metri, mi girai per dirle almeno ciao, ma riuscì a
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