Autonomia solo per gli over 40 in Italia
Uno dei luoghi comuni che appartengono di più all’Italia è il carattere ‘bamboccione’ dei nostri giovani, un classico. In Italia la cultura di quelli che vengono definiti mammoni o bamboccioni, ovvero di quei giovani che vivono sotto l’ala protettiva dei genitori fino a grandi è sempre stato un tratto distintivo a livello sociale.
Questo accadeva perché spesso i nostri giovani amavano godere fino a lungo dei privilegi della vita da figlio senza prendersi le proprie responsabilità e finché possono ritardano l’ingresso nel mondo dell’autonomia.
Ma questa classificazione di italiani bamboccioni ha cominciato a non essere più tanto gradita quanto concreta, perché se è vero che i bamboccioni sono quelli che stanno da mamma e papà per proprio piacere, adesso è più vero ancora che chi si trova in questa condizione è perché il sistema in Italia non permette ai giovani di essere presto autonomi.
Già tempo fa, quando Tommaso Padoa Schioppa, quando era ministro delle finanze (ultimo governo Prodi), aveva utilizzato il termine di “bamboccioni”, in Italia si accese una pesante polemica da parte di tutti quei giovani che additavano lo Stato come causa della loro condizione perché non riuscivano a realizzarsi, a trovare una sistemazione, un impiego senza riuscire così neanche a farsi una famiglia per la maggior parte dei casi.
Questo accadeva 10 anni fa, la situazione adesso è molto peggiorata e la società dei bamboccioni è purtroppo cresciuta: lo scorso settembre l’Istat ha calcolato la bellezza di quasi sette milioni di under35 che vivono ancora a casa con i genitori. Sono soprattutto le difficoltà economiche ad aver contribuito a far aumentare questo fenomeno. Ma adesso ad avvalorare il dato c’è un nuovo studio della Fondazione Visentini presentato alla Luiss. Secondo questa indagine i giovani italiani raggiungono l’autonomia molto più tardi rispetto agli anni passati: “Se un giovane di vent’anni nel 2004 aveva impiegato 10 anni per costruirsi una vita autonoma, nel 2020 ne impiegherà 18 (arrivando quindi a 38 anni), e nel 2030 addirittura 28: diventerebbe, in sostanza, ‘grande’ a cinquant’anni”. Nello studio si evidenzia inoltre che l’Italia “è penultima in Europa per equità intergenerazionale facendo meglio solo della Grecia”.
Lo studio presenterebbe anche un eventuale soluzione secondo la quale “sarebbe necessario un patto tra generazioni con un contributo da parte dei pensionati nella parte apicale delle fasce pensionistiche con un intervento progressivo sia rispetto alla capacità contributiva, sia ai contributi versati”. Si tratta di una proposta per fronteggiare l’emergenza generazionale e ridurre la forbice tra giovani e anziani poiché “serve una rimodulazione dell’imposizione che, con funzione redistributiva, tenga conto della maturità fiscale”.
Secondo la ricerca sarebbe necessario un “contributo solidaristico da parte della generazione più matura che gode delle pensioni più generose”, questo – aggiunge lo studio – sarebbe “doveroso, non solo sotto il profilo etico, ma anche sotto quello sociale ed economico”.