L’iniziativa popolare permette alla popolazione di essere attiva politicamente. Sulla misura di questo potere del popolo si discute però da alcuni anni
La Brexit, il voto sull’uscita della Gran Bretagna dall’UE, ha dimostrato come le decisioni popolari possano scrivere la storia di un Paese, ridefinirne il destino. La Svizzera conosce perfettamente i meccanismi della democrazia diretta, parte integrante del sistema politico e il popolo può incidere politicamente come in nessun altro Paese al mondo. Un modello al quale molti guardano con interesse, un sistema partecipativo che la scorsa settimana ha festeggiato un giubileo: lo strumento dell’iniziativa popolare ha compiuto 125 anni. Il 5 luglio 1891, il 60,3% del popolo e 18 Cantoni, accettarono la revisione della Costituzione comprendente l’articolo sull’iniziativa popolare, introducendo così un pilastro del sistema politico svizzero. La prima iniziativa fu presentata 14 mesi dopo e si votò per il divieto della macellazione rituale, approvata poi alle urne. Sono state 206 le iniziative popolari sulle quali l’elettorato svizzero ha votato e approvandone solo 22. All’inizio, per sottoporre un’iniziativa al voto, si richiedeva la raccolta di 50.000 firme, portate a 100.000 nel 1977 a seguito dell’estensione del diritto di voto alle donne.
Negli ultimi anni è stata utilizzata con maggior frequenza, 23 nell’arco degli ultimi tre anni e mezzo. Sono aumentate le probabilità di successo, soprattutto le iniziative approvate con testi difficili da attuare, come l’iniziativa sulle espulsioni dei criminali stranieri, che ha portato addirittura alla votazione sull’iniziativa “Per l’attuazione dell’espulsione degli stranieri che commettono reati”. Se da un lato l’iniziativa consente una risposta rapida a nuovi problemi, dall’altro ne soffre il sistema politico quando è confrontato con i limiti che le iniziative arrecano o impediscono alle autorità di sviluppare riforme a lungo termine.
Sono questi i casi che hanno lanciato il dibattito su vantaggi e svantaggi, sull’uso e la forma di questo strumento di democrazia diretta. Da anni le commissioni parlamentari discutono come eliminare i problemi che portano i votanti alle urne per esprimersi su iniziative complicate da attuare. Alcuni parlamentari sono dell’opinione che esista necessità di agire. Una soluzione sarebbe concedere più competenze al Parlamento per decretare nulle le iniziative, ma alcuni parlamentari temono che esse siano annullate per motivi politici e non per il loro contenuto. Sul tavolo esistono diverse proposte per cambiare, ma politicamente hanno poche probabilità di successo. Il BPD ha ad esempio lanciato una mozione parlamentare che chiede di aumentare il numero di firme per un’iniziata a 150.000 fino a 250.000. La reazione non si è fatta attendere e un argomento riguarda il taglio dei diritti politici che un cambiamento simile porterebbe. Ma anche il rischio che le piccole organizzazioni non sarebbero più in grado di lanciare iniziative. Concrete soluzioni non sono state presentate e magari in futuro le richieste di riformare il diritto d’iniziativa potrebbero affievolirsi. Gli aventi diritti al voto continueranno a recarsi alle urne, perché usufruiranno ancora di questo strumento. Tutti i partiti presenti nel Consiglio federale si sono espressi a favore di mantenere il numero di firme, così come la popolazione secondo un sondaggio rappresentativo. Su un punto tutti concordano che gli strumenti della democrazia diretta permettono al popolo di partecipare al funzionamento dello Stato, perché nella democrazia svizzera “il sovrano è il popolo che decide di persona su importanti questioni”.
Gaetano Scopelliti