Tempo fa, la radiotelevisione svizzera di lingua italiana (RSI) ha mandato in onda una simpatica trasmissione in cui il direttore di rete, Maurizio Canetta, incassava critiche ed elogi, in diretta e senza filtro. Iniziativa lodevole e coraggiosa.
Altrettanto coraggio ha mostrato ultimamente in almeno due occasioni. In una, con sprezzo del pericolo, è accorsa a Zurigo per documentare la tappa svizzera del tour propagandistico della Boschi, inviandole, già che c’era, un giornalista a reggerle il microfono durante l’incontro. Una delizia per la platea dei militanti del PD in Svizzera, arrivati a Zurigo in torpedone, con pranzo al sacco e pronti all’applauso scrosciante, in una grigia domenica novembrina, resa ancor più triste e vuota dalla sosta del campionato di calcio.
Nell’altra, una settimana prima, sempre a Zurigo, sempre nella medesima sala, in occasione della pièce teatrale Perchè No, di e con Marco Travaglio, della televisione svizzera non si aveva notizia, neppure l’ombra di un microfono spento; con audacia estrema, era rimasta armi e bagagli a Lugano.
Anche in questo caso, come per la Boschi, si è registrato il pienone, ma di diversa natura: la sala era stracolma di spettatori paganti, arrivati con i propri mezzi, senza pranzo al sacco e senza direttive di partito.
Nelle aziende, come nella vita, si devono fare delle scelte, e la RSI ha avuto il coraggio di farle. Che poi, fra un assembramento di militanti festanti e una platea di spettatori comuni, la RSI abbia deciso che l’evento imperdibile fosse il primo, non sta a nessuno giudicare.
Certo, coprire entrambi gli eventi sarebbe stata la scelta più sensata, anche se meno coraggiosa, ma pare che le scelte facili e di comodo non siano più contemplate, a Lugano come a Roma. La RSI è barricadera, non si piega a nessun potente di turno, si chiami Travaglio, Tizio o Caio.
Antonio Ravi Monica