Il 17 aprile 2016 gli italiani, anche quelli residenti all’estero, sono chiamati alle urne per votare sul referendum popolare abrogativo della norma che prevede che i permessi e le concessioni a esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti di idrocarburi entro dodici miglia dalla costa abbiano la “durata della vita utile del giacimento”. Cerchiamo di fare maggiore chiarezza in questa intervista ad Enrico Gagliano del Coordinamento Nazionale No Triv
Ci spiega brevemente di cosa tratta il referendum popolare abrogativo del 17 aprile 2016?
Con il Referendum chiediamo di cancellare una norma, contenuta nella nuova Legge di Stabilità entrata in vigore il 1° gennaio 2016, che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza alcun limite di tempo.
Votando Sì le attività petrolifere in corso entro le 12 miglia marine andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni.
Sul vostro sito spiegate che il vero quesito del referendum è: “vuoi che l’Italia investa sull’efficienza energetica, sul 100% fonti rinnovabili, sulla ricerca e l’innovazione?”. Ci spiega concretamente questo punto?
Presto detto. Se la maggioranza degli italiani voterà Sì, il Governo dovrà tener conto del fatto che il Paese vuole che venga rivista profondamente la Strategia Energetica Nazionale che fissa nel raddoppio della produzione (estrazione) nazionale di gas e petrolio uno dei suoi principali obiettivi.
Non tutti sanno, soprattutto all’estero, che dopo anni di impetuosa crescita della produzione di energia elettrica solare, in cui in Europa l’Italia è stata seconda soltanto alla Germania, gli ultimi Governi italiani – da Berlusconi fino a Renzi, passando per Monti e Letta – hanno approvato norme penalizzanti per le energie pulite, lasciando invece inalterati gli incentivi per quelle prodotte da fonti fossili.
Il petrolio è una vecchia energia fossile causa di inquinamento, allora quali sono le energie sulle quali l’Italia potrà puntare in futuro?
In Italia esistono ampi margini di incremento per la produzione di energia da fonte solare, eolica, ecc., soprattutto incoraggiando la generazione elettrica diffusa: poche grandi centrali ed una miriade di medi e piccoli impianti al servizio delle famiglie e delle imprese. Meno dipendenza dalla rete e più autoproduzione per il consumo.
Inoltre c’è ancora molto spazio per rendere più efficienti dal punto di vista dei consumi elettrici e termici le imprese, le abitazioni, i trasporti, l’agricoltura, le Pubbliche Amministrazioni, ecc., con notevoli vantaggi dal punto di vista della crescita economica, dell’occupazione e della difesa dell’ambiente.
Dobbiamo abituarci all’idea che le nostre reti e le nostre città debbano diventare meno sprecone e più intelligenti: per far questo occorre sfidare il futuro innovando, puntando sulla ricerca. Altra cosa rispetto al passato rappresentato dalle fonti fossili e dal carbone.
L’Italia è il Paese del Sole e del Mare, non del petrolio.
“Perché l’ENI ed il Governo che la controlla, anziché attaccare il Referendum, non dicono ai lavoratori ed alle loro famiglie perché ENI ha deciso di dimezzare gli occupati nelle sue raffinerie?”
I contrari sostengono che con il Sì al referendum si perderebbero molti posti di lavoro, come risponde a ciò?
Che si tratta di terrorismo. Le attività estrattive già esistenti entro le 12 miglia non cesserebbero di colpo: avrebbero a disposizione, grazie al meccanismo delle proroghe, mediamente 5/6 anni (in qualche caso anche quasi 11) prima di dover avviare la fase di messa in sicurezza e di ripristino.
Che le concessioni ed i permessi avessero un inizio ed una fine lo si è sempre saputo così come si è sempre saputo che certi lavori sarebbero stati a termine. Ma nessuno ha pensato di correre ai ripari in modo serio e definitivo.
Il Referendum rompe questo velo di ipocrisia, tipico della politica di casa nostra, e ricorda che c’è ancora tempo per progettare il futuro lavorativo delle imprese dell’indotto e dei lavoratori.
Non possiamo permetterci di fare come gli struzzi o questa storia avrà un epilogo drammatico.
La crisi del settore perdura ormai da diversi anni a causa della crisi e per effetto della migliorata efficienza del sistema Paese. Nella raffinazione italiana i lavoratori rimasti a casa negli ultimi anni sono migliaia. Per Gela, ad esempio, Eni ha sottoscritto un protocollo con cui si è impegnata a riconvertire gli impianti per fare di quella raffineria una raffineria “green”. Dov’è questa raffineria “verde”?
Perché l’ENI ed il Governo che la controlla, anziché attaccare il Referendum, non dicono ai lavoratori ed alle loro famiglie perché ENI ha deciso di dimezzare gli occupati nelle sue raffinerie? Cosa propongono in alternativa?
Dire che non c’è lavoro per colpa del Referendum è il modo più comodo per nascondere responsabilità che sono principalmente degli ultimi Governi e di una politica che non sa più fare il suo mestiere: saper vedere oltre la punta del naso e programmare per il bene dei cittadini.
Con l’approvazione del referendum non si potrà estrarre gas (es. petrolio) entro le 12 miglia marine, e oltre queste?
Oltre le 12 miglia lo si potrà fare dopo aver seguito tutto l’iter di autorizzazione previsto per legge. Se il Governo non avesse abrogato, con un colpo di mano, il Piano Aree, oggi lo Stato non avrebbe potuto decidere, in perfetta solitudine, se si può bucare in un posto o nell’altro ma avrebbe dovuto fare i conti con le Regioni.
Le associazioni ed i comitati che si riconoscono nel movimento no triv continueranno a battersi per una moratoria di tutte le attività “petrolifere” fintanto che in Italia non verranno approvate una legge sul “dibattito pubblico” sulle grandi opere – sul modello francese – ed una disciplina organica sulle attività “petrolifere” nel nostro Paese.
Il comitato sostiene inoltre che “il Governo scommette sul silenzio del popolo italiano!”, perché è importante che gli italiani, ricordiamoci anche di quelli residenti all’estero, dicano Sì al referendum?
Tra tutte, questa è la domanda più impegnativa. Il Governo punta sull’astensionismo e questo è un fatto gravissimo; in democrazia si può essere a favore o non favorevole ad una legge. In democrazia vale la regola della partecipazione consapevole alle scelte che interessano tutti, cioè lo Stato.
Quando si dice che all’estero hanno “senso dello Stato”, più di quanto ne abbiamo noi italiani, si vuole intendere proprio questo. In Italia, invece, abbiamo il pessimo esempio di esponenti di Governo che invitano a non votare.
Gli italiani che risiedono all’estero, spesso per necessità e non per scelta, possono dimostrare che gli italiani amano l’Italia e che non vogliono che la sua bellezza sia deturpata. Che il nostro “senso dello Stato” non è secondo a quello che si ha in Svizzera piuttosto che in Germania, in Belgio o in qualsiasi altro Paese europeo.
Gli italiani amano la loro terra e la vogliono difendere a tutti i costi dall’aggressione delle trivelle, sia in mare sia su terraferma. Ma la immaginate voi una cartolina del Gargano con una trivella sullo sfondo? O il blu del Canale di Sicilia che cambia il suo colore in nero? O il Mar Ionio di Ulisse tempestato di trivelle? O l’Adriatico – che è un mare chiuso – definitivamente sfregiato in caso di incidente ad una piattaforma? Sarebbe una tragedia irreparabile. Non abbiamo scelta: il 17 aprile dobbiamo votare SÌ.
Quali sarebbero le reali conseguenze della vittoria del sì o del no ?
In caso di vittoria del Sì: le attività petrolifere in corso entro le 12 miglia marine andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni.
Non vi sarebbe neppure pericolo per la sicurezza energetica nazionale giacché gran parte della produzione di gas naturale viene dalle concessioni di coltivazione su terraferma ed in mare oltre il limite delle 12 miglia marine.
A seguito di un eventuale esito positivo del referendum, il Parlamento o il Governo non potrebbero modificare il risultato ottenuto. La cancellazione della norma che al momento consente di estrarre gas e petrolio senza limiti di tempo sarebbe immediatamente operativa. Come la Corte costituzionale ha più volte precisato, il Parlamento non può successivamente modificare il risultato che si è avuto con il referendum, altrimenti lederebbe la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria.
In caso di vittoria del NO o di mancato raggiungimento del quorum: nonostante, secondo la legge in vigore, le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero scadenza certa ma proseguirebbero fino ad esaurimento del giacimento.
“In Italia abbiamo il pessimo esempio di esponenti di Governo che invitano a non votare”
Elettori residenti all’estero
Gli elettori residenti all’estero ed iscritti all’anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero AIRE riceveranno il plico elettorale al loro domicilio. Chi intendeva volare in Italia per votare o chi per motivi di lavoro, studio o cure mediche si trovano temporaneamente all’estero, possono votare solo se hanno inviato una dichiarazione al rispettivo Consolato Generale entro il 26 febbraio 2016 (La Pagina del 24.02.16).
Chi c’è nel comitato del sì?
Il Comitato Referendario è costituito dalle 9 Regioni che hanno formalmente promosso il Referendum che prevedeva ulteriori 5 quesiti (di cui 3 recepiti nella Legge di Stabilità, 2 ritenuti non ammissibili ma “recuperabili” ove la Corte Costituzionale decidesse a favore dei due conflitti di attribuzioni sollevati da 6 Regioni). Le 10 Regioni sono: Liguria, Veneto, Marche, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna (l’Abruzzo ha poi rinunciato).
Accanto al Comitato Referendario “ufficiale” è schierato il Comitato Referendario delle Organizzazioni non Governative, che raggruppa movimenti, associazioni e comitati rappresentativi della società civile.
Per informazioni: www.notriv.com
Eveline Bentivegna e
Manuela Salamone